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Cronaca

Affari, protezioni e passioni: cosa sappiamo di Matteo Messina Denaro a 4 mesi dalla sua cattura

Il 16 gennaio la Procura e i carabinieri hanno messo fine ad una latitanza durata tre decenni con il blitz alla clinica La Maddalena. Fedele alla linea mafiosa, il boss parla, ma nega persino di far parte di Cosa nostra. Ma sono i pizzini e gli appunti trovati nel suo ultimo covo di Campobello di Mazara che ci svelano molte cose di lui e dei suoi complici

Un agricoltore apolide, che conosce Cosa nostra solo attraverso i giornali, che non commette estorsioni, ma rivendica diritti, che non ammazza bambini innocenti, ma ne ordina "solo" il sequestro. E' così che - in estrema sintesi - si è presentato Matteo Messina Denaro ai magistrati. Con furbizia, una punta di ironia e una malattia che lo sta divorando, senza pentimenti e senza alcuna intenzione di collaborareMa, a esattamente quattro mesi dalla sua cattura, avvenuta il 16 gennaio alla clincia La Maddalena dopo trent'anni di latitanza, cosa sappiamo davvero di lui? In poco tempo la Procura ha certamente già delineato molti aspetti importanti, legati agli affari, alle protezioni, ma anche alle passioni di quello che era il capomafia più ricercato d'Italia.

Nell'ospedale di San Lorenzo con l'operazione del Ros dei carabinieri, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia e dall'aggiunto Paolo Guido, si è chiuso il capitolo più buio della storia della mafia, quello delle bombe, delle centinaia di omicidi, degli affari milionari e a livello mondiale con la produzione e il traffico di eroina, dell'attacco frontale alle Istituzioni, della massima potenza di Cosa nostra. E con l'arresto dell'ultimo dei Corleonesi lo Stato ha vinto una guerra iniziata negli anni Ottanta e culminata nel Maxiprocesso.

La condanna a morte del boss e la cattura

Parla ma non dice, Messina Denaro, ora rinchiuso al 41 bis a L'Aquila, eppure è stato proprio lui a fornire il materiale sul quale stanno lavorando gli investigatori, ritrovato nel suo ultimo covo di vicolo San Vito a Campobello di Mazara. A riprova che si sentiva al sicuro nel "suo" territorio e che, anche se aveva forse messo in conto di poter essere preso, non si aspettava certo che succedesse nel momento in cui è accaduto: non avrebbe lasciato tracce così importanti. Pizzini, appunti e documenti - scoperti anche a casa della (imprudente) sorella Rosalia, "Fragolone" - grazie ai quali è stato possibile finora arrestare una parte dei suoi fiancheggiatori e iniziare a ricostruire i suoi interessi economici. 

La rete di fiancheggiatori

Quello che è venuto fuori finora è che l'ex superlatitante non aveva molta scelta: anni di indagini e arresti hanno portato effettivamente a creare un vuoto nella sua rete di protezione. Ad oggi sono stati arrestati, oltre alla sorella Rosalia, "donna di mafia" e "fedele esecutrice" dei suoi ordini, molti componenti della famiglia del capomafia di Campobello, Leonardo Bonafede, deceduto qualche anno fa e fedelissimo del padre di Messina Denaro, Francesco. Per almeno un paio d'anni, e soprattutto per accedere alle cure, il boss ha usato le generalità del geometra Andrea Bonafede. A ritirare ricette e a recuperare prescrizioni era poi il cugino omonimo, dipendente comunale. "Uno dei perni della latitanza" di Messina Denaro è stata la cugina dei due e figlia di Leonardo, la maestra Laura Bonafede, sposata con un ergastolano e con la quale ha intrattenuto una relazione almeno dal 1996. Nella rete c'è poi un altro cugino dei Bonafede, Emanuele, che assieme alla moglie, Lorena Ninfa Lanceri, ha ripetutamente ospitato il latitante nella loro casa di via Mare, sempre a Campobello. Aiuto è stato fornito anche da Giovanni Luppino, l'uomo che ha fatto da autista al mafioso il giorno della sua cattura.

Nella lista ci sono anche i figli di Luppino, Vincenzo e Antonio (a casa del primo fu trovato un piccolo bunker - vuoto - che potrebbe essere stato utilizzato dal boss). Accertamenti anche su Errico Risalvato, ex consigliere comunale di Castelvetrano (anche nella sua abitazione è stata trovata una stanza segreta, ma la famiglia ha respinto ogni accusa, negando legami col mafioso). E' tornato nelle indagini anche il nome di Maria Mesi, ex e storica amante di Messina Denaro, già condannata per favoreggiamento nel 2000.

Il pizzino nella sedia: così la sorella ha tradito Messina Denaro

Fiancheggiatori ci sono anche nella sanità: finora è stato arrestato solo il medico di base massone Alfonso Tumbarello, che ha seguito il boss in relazione alle cure per il suo tumore. E proprio su questo fronte c'è ancora molto da scavare (anche a Palermo), così come su quello legato a presunte talpe che avrebbero fornito informazioni riservate a Messina Denaro. 

Le passioni: letteratura, cinema, donne e lusso

Tra le passioni di Messina Denaro c'è certamente la lettura (ma d'altra parte un latitante malato deve pure passare il tempo...): nel covo di vicolo San Vito sono stati trovati 56 libri, molti dei quali sono classici, da "Viaggio al termine della notte" di Céline a "Le notti bianche" di Dostoevskij, a "Se questo è un uomo" di Levi, due romanzi di Vargas Llosa, diversi volumi di Bukowsky, raccolte di poesie di Baudelaire e Merini, ma anche un volume su Nietzsche. Trovati anche gialli e biografie. E che il boss abbia letto parecchio lo dimostrano anche alcuni nomi in codice utilizzati nei suoi pizzini: per esempio Campobello - non a caso - diventa "Macondo", il villaggio in cui è ambientato "Cent'anni di solitudine" di Garcìa Marquez.

Ma nel covo c'erano anche oltre 200 dvd, segno che all'ex superlatitante piace anche il cinema (e ci sono dei riferimenti su questo aspetto anche in una lettera inviatagli da Laura Bonafede), anche se è meno raffinato rispetto alla letteratura: "Apocalypse now" di Francis Ford Coppola, "Django Unchained" di Quentin Tarantino, ma anche "Il gladiatore", "Robin Hood" e "Sex and the City" tra i titoli. Ama pure la pittura, lo stragista: cita diverse volte Van Gogh nei pizzini e ha regalato delle stampe dello stesso artista alla maestra, per esempio.

Messina Denaro è però anche molto attento alla sua immagine e ha un'attrazione decisa per il lusso: vestiti e accessori firmati (a cominciare dagli ormai quasi mitici Ray-Ban) e costosi orologi (ne aveva uno al polso il giorno della cattura dal valore di circa 30 mila euro, da padrino ha regalato un Rolex al figlio della coppia Bonafede-Lanceri per la cresima). Dal racconto di diverse pazienti che facevano la chemioterapia con lui a La Maddalena (e non solo) si può ricavare anche una voglia di piacere e sedurre, una passione per le donne, in genere piuttosto fragili, dimostrando così una certa forma di narcisismo.

Affari, contabilità e prestanome

Meticoloso nella contabilità, i carabinieri hanno ritrovato tanti appunti del boss in cui si fa riferimento ad uscite ed entrate. Si stima che spendesse circa 200 mila euro all'anno. E da dove li prendesse - anche se negli anni è stato sequestrato un patrimonio di oltre 4 miliardi a lui riconducibile - resta ancora un mistero. In un pizzino che riassume i conti di diversi anni, il capitale di partenza è la cifra fissa di circa 20 mila euro, un'entrata sulla quale poteva evidentemente fare affidamento, ma di cui non si conosce l'origine. Ha potuto contare su una sfilza di prestanome e, come ha raccontato lui stesso, questi sapevano che al momento "del bisogno", avrebbero dovuto vendere, recuperare contanti, metterli in banca, prenderli a poco a poco e consegnarglieli. Visti gli interessi già scoperti nell'eolico, nella grande distribuzione, nell'edilizia e persino nei villaggi vacanze, Messina Denaro potrebbe anche avere degli investimenti in società e ricavare dividendi e utili. Ma questo è un capitolo ancora tutto da scrivere.

La latitanza e la resa inevitabile

Almeno negli ultimi due anni Messina Denaro ha vissuto a Campobello di Mazara, "mostrando il suo volto a tutti", ma restando completamente invisibile, grazie ad una cortina di omertà che lo ha protetto. Ma negli altri 28 anni di latitanza? Potrebbe avere scelto la Calabria per una fase, potendo contare sull'appoggio di appartenenti alla 'Ndrangheta. Un punto strategico: vicino alla Sicilia e raggiungibile senza prendere aerei ed evitando serrati controlli. Avrà girato tanto - come emerge da vecchie inchieste - ma anche questo è un capitolo tutto da approfondire. Certo è che alla fine della corsa, per via della malattia, è tornato a "casa" e, con una rete di fiancheggiatori fiaccata, non ha potuto curarsi all'estero, come fece ad esempio Bernardo Provenzano.

La malattia

Messina Denaro la chiamava "la Romena" che "prosciuga le forze", la patologia oncologica che gli è stata diagnosticata nel 2020 a Castelvetrano. Una grave forma di tumore che ha comportato due delicati interventi, uno a Trapani e il secondo, nel 2021, a La Maddalena. La malattia è la chiave per comprendere le ultime mosse (obbligate) del boss e che ha pure portato gli inquirenti a fare finalmente scacco matto. Indebolito, costretto a cure e controlli, nonché a degenze piuttosto lunghe in ospedale, senza una rete sicura di protezione, Messina Denaro è diventato molto vulnerabile non solo per le sue condizioni di salute.

La "profezia" sulla cattura e le vaghe rivelazioni di Baiardo

Il 6 dicembre dell'anno scorso, poi, il Ros ha trovato nel piede di una sedia in casa della sorella Rosalia un pizzino con chiare indicazioni mediche, una specie di cartella clinica: l'hanno fotografato e rimesso al suo posto. Sulla scorta anche di alcune intercettazioni dell'estate scorsa in cui si parlava di un malato, è nell'ambiente sanitario che la Procura ha deciso di puntare tutto, mettendosi alla ricerca - attraverso le banche dati del Servizio sanitario nazionale - di un paziente con le caratteristiche del boss, nella zona occidentale della Sicilia. Fino ad arrivare in poche settimane ad "Andrea Bonafede" e al suo appuntamento - l'ultimo -per la chemio, alle 8 del 16 gennaio scorso. 

Le colpe (che non ammette)

E' l'ultimo dei Corleonesi e ha partecipato alla stagione delle stragi, così come ha gestito il sequestro e la terribile uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, ma nega, Messina Denaro, fedele alla linea mafiosa che fa di Cosa nostra un'invenzione dei giornali. Lo ha detto al gip Alfredo Montalto, "non faccio parte di nessuna associazione", "non ho soprannomi, me li hanno attaccati i giornalisti". Le sentenze definitive dicono altro, ma il boss non è disposto ad ammettere crimini atroci. Sul piccolo Di Matteo ha detto di avere responsabilità per il sequestro, ma non certo per l'omicidio e lo scioglimento nell'acido di un bambino innocente. Dal suo punto di vista, persino di fronte all'ultima (vecchia) estorsione che gli viene contestata, non ha colpe: rivendicava i suoi diritti, il terreno era suo e la figlia di un prestanome voleva derubarlo, cosa avrebbe dovuto fare se non mandare una "bella" lettera e firmarla per esteso? 

Il Codice Messina Denaro

E' evidente che nelle comunicazioni un latitante non può essere esplicito, che serve un codice per impedire di essere scoperti, nomi finti per nascondere anche l'identità dei complici e i luoghi. Dai pizzini scritti e ricevuti da Messina Denaro ne emergono a decine, ma il linguaggio segreto utilizzato dal boss è un meccanismo molto ricercato, dove i nomi mutano addirittura in base agli interlocutori, vengono così fuori più appellativi che in realtà fanno però riferimento alla stessa persona, rendendo più difficile la decifrazione per gli investigatori. Laura Bonafede, per esempio, oltre ad avere più nomi (Amico, Blu, Vanesio) scriveva pure alla terza persona maschile.  

Fonte: Palermotoday

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