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Cronaca

"Ho un amico in carcere”, ecco come la mafia barcellonese terrorizza i commercianti

Dalle motivazioni della sentenza Ghota 7, il sistema di terrore messo in piedi dall'organizzazione criminale. Il processo con il rito abbreviato si è concluso con 29 condanne e una assoluzione. Riflettori puntati su estorsioni e rapine nella zona tirrenica negli ultimi vent'anni

"Un mero capitolo di una storia, di crimini e di processi, molto più ampia", "un capitolo privo della sua totale autonomia" che va letto con i "precedenti capitoli”. Cosi il giudice Salvatore Mastroeni nelle motivazioni della sentenza Gotha 7, uno dei capitoli d’inchiesta sulla famiglia mafiosa barcellonese. 

L’ operazione “Gotha 7”, è scattata a gennaio 2018 con 40 arresti. L’indagine dei carabinieri del comando provinciale, del Ros e della Polizia ha colpito ancora una volta la famiglia mafiosa barcellonese, dimostrando come il sodalizio è stato in grado di riorganizzare i proprti assetti nonostante le inchieste giudiziarie. Ha acceso anche i riflettori su decine di episodi di estorsioni e rapine nella zona tirrenica tra il 1990 ed il dicembre 2017. Vittime commercianti ed operatori economici costretti a subire le richieste di pizzo. Il modo di agire prevedeva dapprima il collocamento di una bottiglia con liquido infiammabile nei pressi della saracinesca del negozio e, dopo, “l’avvicinamento” al commerciante con la richiesta del “pizzo”, da corrispondere, di solito, in occasione delle feste di Natale, Pasqua e Ferragosto. L'inchiesta si basa anche sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che hanno dato un controbuto risultato importante per la ricostruzione dei fatti come Carmelo D’Amico, Salvatore Campisi, Franco Munafò e Alessio Alesci e molti altri

Al passaggio dell’udienza preliminare in 30 hanno chiesto l’abbreviato e, lo scorso 3 aprile, il processo si è concluso con 29 condanne ed una assoluzione. Qualche settimana fa il giudice Salvatore Mastroeni ha depositato le motivazioni di quella sentenza. In quasi 500 pagine il magistrato ha ripercorso le contestazioni per ogni imputato e delle dichiarazioni dei collaboratori. 

Nelle motivazioni il giudice si sofferma  sulla specificità della normativa antimafia e sui maxi processi ma tema centrale-scrive- è “la valenza delle dichiarazioni dei collaboratori che fanno le loro dichiarazioni in un momento successivo  ad altri, a conoscenza di quanto emerso nei processi”. “L’appartenenza mafiosa già provata- prosegue- ed i dati di novità proposti su ulteriori reati, nonché i riscontri, ed infine il collegamento del pentimento ai nuovi arresti, permettono di escludere che si tratti di soggetti che riferiscono solo cose apprese nei processi e che siano al di fuori di quel mondo”. “La costante frana dell’associazione, con  crollo del muro dell’omertà, e progressive collaborazioni, è circostanza di fatto che non può ingenerare dubbi aprioristici sulle nuove dichiarazioni”. 

Nella parte conclusiva giudice spiega che il processo è una parte di una situazione più vasta: “un segmento in una realtà di fatto giuridica e processuale ben più ampia” e che la stessa cosa vale anche per i singoli comportamenti “che spesso di spiegano nei fatti pregressi”. Basti considerare-osserva- che “per intimorire basta parlare degli amici in carcere”. Inoltre l’operazione non racconta “uno sviluppo armonico temporale dell’associazione quanto “una serie di fatti e di soggetti tutti inquadrabili nel più vasto scacchiere della mafia barcellonese che diventano attuali e riuniti in un processo sulla base di un elemento collante che è costituito dal progressivo raggiungimento della prova necessaria”. E quindi se per dei periodi “emergono responsabilità di nuovi soggetti che riorganizzano le fila dell’attività illecita” dopo le varie operazioni Gotha “dall’altro si fa luce si responsabilità associative e su reati precedenti all’immediato presente su cui prima non vi erano prove o prove sufficienti”.


 

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