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Cronaca

Massacrato di botte per 7500 euro, muore dopo 9 giorni: convalidato il fermo per un messinese

Si tratta del 35enne Costantino Lomonaco che avrebbe partecipato insieme ad altri tre al brutale pestaggio di Antonino Di Dato. I componenti della banda scaricano la colpa sul quarto uomo in fuga

Si è svolto nella giornata di lunedì l'interrogatorio di garanzia nei confronti di Francesco Bruno Cacchiullo, 52enne tarantino, Costantino Lomonaco, 35enne messinese e Ivan Dumbovic, 42enne croato, ritenuti dagli inquirenti tre dei quattro componenti della banda di picchiatori che hanno massacrato a morte il 45enne Antonino Di Dato lo scorso 3 novembre a Rimini. All'appello manca il quarto uomo, un cittadino bosniaco soprannominato Ivan, riuscito a sfuggire all'arresto del 12 novembre e con tutta probabilità riparato all'estero dopo l'aggressione costata la vita al napoletano deceduto in ospedale dopo un'agonia di 9 giorni.

I tre indagati - come scrive RiminiToday - sono stati ascoltati dal Gip e, secondo quanto emerso, avrebbero scaricato tutte le colpe sul complice ancora a piede libero. Sarebbe stato lui l'ideatore della spedizione punitiva, nata da un debito di 7500 euro accumulato da Di Dato, e quello che avrebbe calcato di più la mano nei confronti della vittima utilizzando un bastone da trekking fino a procurargli le lesioni che gli sono costate la vita. Un pestaggio descritto come di una violenza inaudita da parte degli altri ospiti dell'hotel di via San Remo che, per la paura di finire nel mirino dei quattro picchiatori, non sono intervenuti in difesa della vittima. Al termine dell'interrogatorio il Gip ha deciso di convalidare il fermo e per il trio è scattata la misura cautelare del carcere.

Nel frattempo gli inquirenti sono alla caccia del quarto uomo e, allo stesso tempo, lavorano per ricostruire la vicenda nei minimi dettagli. Che all'origine del pestaggio possa esserci un debito di Di Dato appare chiaro anche dal fatto che, dopo averlo massacrato, i quattro hanno preso il portafoglio del 45enne con 500 euro minacciandolo di tornare per prendersi il resto. C'è da capire come e perchè la vittima, già nota alle forze dell'ordine e legato alla criminalità organizzata, avesse accumulato quel debito. Gli inquirenti comunque, tenderebbero ad escludere che possa esserci la malavita dietro all'omicidio di Di Dato, già condannato a 9 anni per associazione a delinquere di stampo camorristico e sottoposto al regine di sorveglianza speciale, che aveva un passato alquanto torbido e nell'ottobre del 2019 era già finito in manette nell'ambito dell'operazione "Hammer" dei carabinieri riminesi che avevano svelato una lotta tra due bande legate al crimine organizzato per mettere le mani sulla città. Di Dato era, secondo gli investigatori, legato al gruppo guidato da Massimiliano Romaniello e del quale faceva parte anche Giuseppe Ripoli che insieme a Rosario "zio Pio" De Sisto, a sua volta legato al clan Nuvoletta e sospettato di una lunga serie di reati associativi tra cui truffa, riciclaggio, estorsione e bancarotta fraudolenta e recentemente vittima di una sorta di attentato quando lo scorso 23 settembre era stato raggiunto da alcuni colpi di pistola davanti alla propria abitazione, si spartivano il territorio riminese.

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