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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Ponte ed espropri, monta la protesta: azione legale collettiva all'orizzonte

In tanti si sono già rivolti al legale. Ma all'attenzione del Parlamento c'è ancora il decreto con i suoi profili di "illegittimità costituzionale". L'analisi dell'avvocato Notarianni e del presidente dell'Anac

“Questo continuo minacciare che la casa in cui risiedi venga demolita, la terribile e conseguente incertezza  sul futuro tuo e dei tuoi figli (nella consapevolezza che i 282 espropriati non possiedono una residenza alternativa), non costituisce un grave e insopportabile danno morale ed esistenziale che pesa come macigno sull'animo dei residenti? Non si può agire legalmente contro i promotori di questa scellerata iniziativa?”.

Quello che avete appena letto è uno dei tanti messaggi di chi vede minacciata la propria casa, la propria storia e la propria identità dall’operazione Ponte sullo Stretto.

Un progetto che ancora non è completo di tutti i pareri, che non ha fondi previsti per la realizzazione ma già inquieta il sonno tra i residenti di Torre Faro e Ganzirri. 

Dagli anziani che non vogliono vedere distruggere l'ambiente nel quale sono vissuti ai proprietari di ville con piscina a quelli che hanno sudato una vita per mettere un mattone sopra l'altro e che ora non ne vogliono sapere di andare via per un'opera di cui non si comprende fino in fondo l’utilità.

E’ una protesta destinata ad esplodere quella degli abitanti della zona Nord. In tanti si sono già rivolti ai legali perché se il decreto dovesse essere convertito in legge, diventerà legittimo abbattere tutte le proprietà private che ne impediscono la realizzazione e residenti e gestori di attività commerciali dovranno sgomberare in cambio dell’indennizzo quantificato in circa 40 milioni di euro. 

Una questione che ha già sollevato non poche polemiche sia da parte dei cittadini, sia da parte delle istituzioni contrarie alla realizzazione del ponte. Che ora si stanno organizzando e si dicono pronti  ad avviare una azione collettiva contro gli espropri.

Lo sa bene l’avvocata Aurora Notarianni che, anche nella sua qualità di legale del Wwf, da tempo invita a non disperdere altre risorse finanziarie – oltre quelle già macinate dalla società Stretto di Messina - “nel tentativo, consapevolmente inutile, di adeguare un progetto impossibile e di evitare il costo della soccombenza in un giudizio già perso in primo grado”.

Secondo la Notarianni sussistono nel “decreto di riesumazione” che si chiede al Parlamento di approvare “fondati profili di illegittimità costituzionale per violazione della normativa ambientale e sul paesaggio, della concorrenza e sugli appalti, per l’ingerenza del legislatore nel procedimento giudiziario pendente”.

Una tesi che fa il paio con quella di tanti tra i soggetti che hanno sfilato in questi giorni nelle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera.

Anche il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, non contrario alla realizzazione all’infrastruttura, ha messo in evidenza le anomalie di un decreto dove “i costi non sono definiti e non è chiara quale sia la disciplina contrattuale applicabile”.

“Serve vincolare il contraente generale a tempi e costi per rispettare la normativa europea e tutelare l’interesse pubblico, controllare il subappalto in modo particolare sia per ragioni di legalità che di natura tecnica” ha spiegato Busia che ha anche messo in evidenza come il decreto fa accettare al pubblico il progetto dei privati, senza chiedere loro di rinunciare prima al contenzioso in corso con lo Stato, e non stabilisce obblighi in capo al contraente generale sui tempi di realizzazione dell’opera, i costi, l’assunzione di tutti i rischi. 

Il presidente dell’Autorità anticorruzione ha anche suggerito al Parlamento di modificare il decreto, per non favorire eccessivamente un privato, “che è già stato ampiamente posto in vantaggio dalla decisione di non fare la gara, accettando il vecchio progetto del 2011 di loro proprietà” e di inserire obblighi precisi in capo al contraente generale, sui tempi di realizzazione, costi, assunzione dei rischi, e anche di controllare gli eventuali subappalti,  in modo da evitare nocivi subappalti a cascata.

Aggiunge e avverte che "la decisione di non fare la gara sta in piedi rispettando i vincoli europei solo se non si aumentano i costi oltre il 50% di quanto originariamente previsto (4 miliardi e 300 milioni nel 2002 saliti ad 8 miliardi nel 2011".

Costi stimati in circa 14 miliardi (che già superano il 60%) secondo quanto indicato nel DEF e senza coperture.

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