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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Carceri, 35 detenuti contro un pentito: "E' un infame e non può stare con noi", tutti a processo

Il dibattimento sulla rivolta al Pagliarelli avvenuta il 21 agosto 2014, quando gli imputati avrebbero impedito ad un compagno di cella di scendere in cortile con loro per l'ora d'aria, si protrae ormai da 5 anni. L'accusa è di resistenza a pubblico ufficiale, perché i reclusi non eseguirono gli ordini degli agenti penitenziari, ma è già prescritta

Si sarebbero rifiutati di trascorrere l'ora d'aria nel cortile del carcere Pagliarelli assieme ad un "infame", cioè ad un altro detenuto che in passato aveva collaborato con la giustizia. Secondo 35 reclusi, quel pentito non sarebbe stato degno di stare insieme a loro e pur di impedire che accedesse al cortile si sarebbero coalizzati facendo da scudo, sbarrandogli la strada. A nulla erano valsi i richiami degli agenti penitenziari e alla fine per tutti era scattata una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale. Il processo - con il reato ormai già prescritto - è pendente davanti alla seconda sezione del tribunale monocratico e verte su una piccola sommossa avvenuta nel penitenziario addirittura ad agosto del 2014. 

Un dibattimento che ha dei costi non indifferenti, anche perché molti degli imputati sono ancora reclusi e in varie parti d'Italia, quindi è necessario attivare in media una dozzina di videocollegamenti ad udienza. Alla sbarra ci sono diversi palermitani (alcuni anche noti alle cronache), ma anche persone originarie di altre zone della Sicilia, campani, pugliesi, piemontesi e calabresi, difesi tra gli altri dagli avvocati Dario Gallo, Michele Giovinco, Angelo Formuso, Domenico Lo Cascio, Bartolo Gugino e Debora Speciale.

La vicenda al centro del processo risale al 21 agosto del 2014, quando intorno alle 13, i detenuti dovevano scendere in cortile per l'ora d'aria. Tra di loro c'era anche un catanese, che in passato aveva effettivamente collaborato con la giustizia, ma che in quella fase non era più formalmente un "pentito". Tuttavia gli imputati non avrebbero "gradito" la sua presenza, ritenendolo "indegno" di stare insieme a loro, anche perché alcuni dei loro parenti sarebbero stati arrestati proprio in virtù delle sue dichiarazioni.

Per non fare scendere il detenuto, gli imputati avevano fatto da scudo umano, disattendendo anche agli ordini di un assistente capo della polizia penitenziaria, che era comunque riuscito ad evitare il peggio, chiudendo un cancello e lasciando il pentito da solo in un corridoio. Per i 35 detenuti che avrebbero preso parte alla rivolta, però, era scattata la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale. Che ad oggi - dopo 8 anni - è ancora oggetto di discussione davanti al tribunale monocratico, anche se il reato è prescritto.

La prima udienza del processo risale al 12 luglio del 2017 e gli imputati sono il messinese Roberto Amante, i palermitani Salvatore Buglisi, Angelo Cangialosi, Lorenzo Flauto, Vincenzo Gagliano, Andrea Lombardo, Serafino Maranzano, Letterio Maranzano, Francesco Militano, Pietro Rosone, Francesco Tarantino, Michele Vitale (Partinico), Giuseppe Mulè (San Cipirello) e Tommaso Bartolomeo Genovese (Altofonte), Massimo Anastasi, Luciano Musumeci, Sebastiano Arcodia Pignarello, Salvatore Bonvegna, Carmelo Chiantello, Cristian Nazionale (tutti catanesi), Pietro Cuccia (Enna), Vito Scravaglieri (Adrano) Nicola Liparoti e Alfonso Terlati (entrambi di Gela), Corrado Ruscica (Noto), Giuseppe Mulè (Palma di Montechiaro), Vito Pastore (Bari), Eros Salvo (Torino), Luigi Ronga (Napoli), Emiddio Vitolo (Sarno in provincia di Salerno), Renato Elia (Napoli), Salvatore Graziano (Quindici, in provincia di Avellino), Salvatore Liccardi (Pozzuoli), Giuseppe Catroppo (Cosenza) e Pietro Daraia (Imola). 

Fonte: PalermoToday.it

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