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Economia

Reddito di cittadinanza col governo Meloni, cosa potrebbe cambiare nel 2023

Il piano del centrodestra è sintetizzato da Durigon (Lega): "Chi può lavorare non potrà stare più in poltrona e continuare a beneficiare dell'assegno"

Di abolirlo, non se ne parla, slogan a parte. Sul reddito di cittadinanza sta però per aprirsi una partita politica molto delicata, ancor più di quella sulle pensioni, per il nuovo governo. Una partita che vale quasi 9 miliardi all'anno. C'è di mezzo il sostegno a un milione di famiglie, equivalenti a 2 milioni e mezzo di persone. Ancora troppo poche, in ogni caso, per il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, perché il sussidio arriva a meno della metà degli indigenti, che sono 5,6 milioni. "La povertà morde, il reddito va mantenuto e dato a tutti i poveri assoluti", ha detto qualche giorno fa Zuppi dopo la presentazione di nuovi allarmanti dati della Caritas. Dati allarmanti, che delineano un quadro di povertà dilagante in un contesto di alta inflazione e recessione incombente, le quali gonfieranno ancora di più le vele dell'indigenza quest'inverno. La Caritas e altre associazioni hanno messo tra l'altro messi in evidenza come i requisiti del Rdc dovrebbero essere ripensati: Isee, patrimonio, i dieci anni di residenza in Italia che mettono fuori gioco troppi cittadini stranieri. E poi le famiglie con tanti figli sono evidentemente penalizzate dal moltiplicatore: un single prende in media 453 euro al mese, una famiglia di cinque persone solo 734 euro. E poi ancora il Nord è penalizzato rispetto al Sud, perché il costo della vita è più elevato. Insomma, in un quadro simile, anche solo parlare di abolizione del reddito di cittadinanza è un azzardo senza molta logica. Ma il tema terrà banco nelle prossime settimane.

Come cambierà il reddito di cittadinanza

Come si concilia tutto ciò con il fatto che tra i primi interventi annunciati dalla maggioranza di centrodestra in campagna elettorale c’è il restyling del reddito di cittadinanza? L'obiettivo gridato ai quattro venti è quello di legarlo di più e meglio alle politiche attive del lavoro, ed è impossibile non essere d'accordo. Ma come, in concreto? La misura, nei piani del governo, non dovrebbe più essere un assegno perpetuo, bensì con paletti e obblighi chiari per inserire nel mercato del lavoro i percettori occupabili. Per farlo, è previsto un maggior coinvolgimento degli enti locali che meglio conoscono le situazioni di vera necessità e disagio sul territorio, anche in chiave di prevenzione contro gli abusi. Un reddito di cittadinanza che dia un sostegno vero soprattutto a chi è nelle fasce di maggiore difficoltà e non può lavorare, dunque. Da FdI, il responsabile economico Maurizio Leo spiegava qualche giorno fa che "non vogliamo abolire il reddito di cittadinanza come misura di sostegno per chi non può lavorare, ma intendiamo separare l'assistenza dalle politiche attive del lavoro, incentivando le assunzioni con il meccanismo chi più assume meno paga".

Le modifiche normative ipotizzabili sono le seguenti, secondo le indiscrezioni delle ultime settimane: una nuova tempistica di fruizione del sussidio, con un rafforzamento della condizionalità. Un maggiore coinvolgimento delle Agenzie per il lavoro, per rendere più efficiente l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Più chiarezza su obblighi e diritti dei percettori occupabili: "Chi può lavorare non potrà stare più in poltrona e continuare a beneficiare dell’assegno" sintetizza al Sole 24 Ore il responsabile Lavoro della Lega, Claudio Durigon. Marina Calderone, la nuova ministra del Lavoro, in passato da presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro aveva più volte sottolineato la necessità di separare le misure di aiuto economico per le famiglie sotto la soglia di povertà, dalle politiche attive del lavoro, ed è probabile che un segnale in quella direzione vorrà darlo. "Alcune imprese venete mi dicono che il reddito di cittadinanza ha reso la loro situazione difficile: molti non vogliono andare a lavorare in un'altra provincia. Per questo una riflessione va fatta", ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Oggi la prima offerta di lavoro ai percettori è congrua se distante meno di 80 chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario.

Ma una cosa sono gli auspici, altra la realtà. I tempi sono molto stretti. In vista della legge di bilancio da siglare entro il 31 dicembre 2022, il ministro dell'Economia Giancarlo Girogetti avrà circa tre settimane di tempo per concordare con l'Unione europea un nuovo obiettivo di disavanzo, che apra gli spazi di una manovra altrimenti impossibile, ma senza cancellare del tutto nel programma di bilancio da inviare a Bruxelles entro fine novembre il percorso di discesa del debito portato avanti dall'esecutivo Draghi.

Sostituire il reddito di cittadinanza "con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro" è dunque uno degli obiettivi fissati da Fratelli d'Italia nel suo programma elettorale, che dovrebbe portare a un restringimento della platea attuale dei beneficiari del reddito. Il sussidio anti-povertà introdotto dal primo governo Conte (sostenuto da M5S e Lega) raggiunge 1,15 milioni di famiglie (considerando reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza per gli over 67), con un numero di persone coinvolte che supera i 2,5 milioni, per oltre il 60% al Sud e nelle Isole. In Italia, però, sono in povertà assoluta circa 5,6 milioni di persone (Istat). Il rebus sul tavolo del nuovo governo è come ridisegnare il Rdc. L'importo medio erogato a livello nazionale è di 549 euro.

Le modifiche all'orizzonte per il reddito di cittadinanza

Come aiuto per l'inserimento al lavoro la misura non ha funzionato, dato che, su 920mila beneficiari indirizzati ai servizi per il lavoro, a giugno 2022 solo 173mila risultavano occupati. Giorgia Meloni vorrebbe togliere circa un terzo delle risorse del reddito (circa 3 miliardi all'anno), per destinarle ad altre misure. Sui quotidiani qualche giorno fa erano finiti persino i consigli della madre della neo-premier: "Toglilo ai diciottenni, lascialo solo a invalidi e anziani". In realtà i giovani tra 18 e 29 anni che prendono il reddito di cittadinanza sono solo l’1,5% del totale. Se per gli occupabili tra 18 e 60 anni e senza minori a carico il piano è quello di garantire soltanto un "rimborso spese" più "corsi di formazione finanziati dal Fondo sociale europeo", come ventilato in campagna elettorale, non è chiaro come l'esecutivo in poche settimane possa ridisegnare la misura in vista del nuovo anno.

La revisione del reddito di cittadinanza è uno di quei temi su cui Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi a grandi linee sono d'accordo: sono fortemente critici, e qualcuno in Fdi (La Russa, ora seconda carica dello Stato) ha anche tratteggiato un percorso verso l'abolizione totale. Se ci sarà la sostituzione della misura con sussidi di altro tipo (impensabile lasciare anche solo per un mese senza un sostegno milioni di famiglie in povertà assoluta), la transizione sarebbe complessa e delicata, e non immediata. Nessuna abolizione totale quindi, slogan a parte, almeno per il 2023. 

Una delle ipotesi più realistiche per il futuro prossimo è quindi una modifica all'impianto, grazie alla quale scatti la revoca del sussidio dopo il primo "no" a un’offerta di lavoro considerata congrua (attualmente al secondo rifiuto il sussidio viene revocato, in passato si doveva arrivare a tre dinieghi). Inizialmente, quando il Rdc venne varato dal primo governo Conte, la legge prevedeva che il reddito di cittadinanza decadesse al rifiuto di ben tre proposte di lavoro. Draghi ha portato a due le proposte rifiutabili, dopo un duro braccio di ferro sulla decurtazione del sussidio, con tanto di telefonata chiarificatrice tra il premier e Giuseppe Conte. Eventuali modifiche del sussidio a stretto giro di posta non riguarderanno dunque la platea dei beneficiari, ma al massimo il numero delle offerte di lavoro che è possibile rifiutare pena la decadenza del sussidio.

Cosa diventerà il reddito di cittadinanza

Il punto è che le offerte di lavoro raramente arrivano agli occupabili, e in ogni caso la platea occupabile appare poco "appetibile" per le imprese: nel 73% dei casi non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei tre anni precedenti. Non ha mai lavorato, oppure non lavora da anni, oppure lavora in nero. Il 70,8% ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore e solo un quarto ha un diploma di scuola superiore. Nessuna rivoluzione del reddito di cittadinanza in vista nei prossimi mesi dunque: per il 2023 la strada sembra segnata. Anche se venisse introdotta la revoca del sussidio dopo il primo "no" a un’offerta di lavoro considerata congrua, queste offerte di lavoro prima devono arrivare nella cassetta della posta dei percettori. Altra ipotesi è che venga ridefinita la congruità delle offerte di lavoro. Più facile a dirsi che a farsi.

Diverso è il discorso per gli anni a venire. Si dovrà decidere in sostanza se, alle persone in povertà, sia da destinare un reddito familiare di sostegno come era il vecchio Rei (quindi non personale ma familiare, slegato dalle offerte di lavoro), oppure un reddito da disoccupazione, e che quindi però va anche a chi non ha mai trovato lavoro o ne è uscito dopo due anni di Naspi. Inevitabile che in questo caso si vada verso una situazione in cui la persona sia pagata per fare corsi di formazione e/o lavori socialmente utili, e non può rifiutare nessuna offerta. Oggi come oggi, il reddito di cittadinanza non è un reddito universale, non è un sussidio di disoccupazione, non è individuale e allo stesso tempo non è congruo per le famiglie con molti figli. Qualcosa cambierà con il governo più a destra di sempre, probabilmente nel 2023 però le modifiche saranno minime, o addirittura totalmente ininfluenti, per la maggior parte delle famiglie.

Fonte: Today.it

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