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Politica

Legalizzazione della cannabis, gli esponenti di Più Europa: “Basta processi a chi vuole curarsi”

Da Messina la mobilitazione per la campagna #ColtiviamoLibertà a sostegno della proposta di legge del deputato Riccardo Magi. Che spiega: “Le carceri sono piene di persone arrestate perché trovate con quantità irrisorie di stupefacente. Su 10 casi di controlli per droga, in 7 si va in carcere per la modica quantità”

“Ora serve una legge per tutelare i pazienti e tutti i consumatori di cannabis” così commenta Palmira Mancuso, membro della Direzione Nazionale di Più Europa la sentenza di assoluzione emessa oggi dal Tribunale di Arezzo nei confronti di Walter De Benedetto, processato per aver coltivato cannabis per alleviare i dolori dell’artrite reumatoide che lo affligge da anni.

“La storia di Walter è l’esempio di come la legge in Italia costringa i Tribunali a processare malati che coltivano il proprio farmaco – continua Palmira Mancuso, che a Messina coordina il gruppo cittadino - e consumatori che decidono di non acquistare cannabis al mercato nero. E' una legge che con Più Europa stiamo cercando di modificare, nella direzione della depenalizzazione dell'auto-coltivazione”.

Lo scorso 20 aprile infatti anche a Messina Più Europa si è mobilitata per la campagna #ColtiviamoLibertà a sostegno della proposta di legge del deputato di +Europa Riccardo Magi che legalizza la coltivazione domestica della Cannabis e riduce le pene per i fatti di lieve entità.

“Legalizzare la cannabis, anche la sua coltivazione per uso personale, consente di avere più legalità, sottraendo un mercato miliardario alle mafie, più giustizia, liberando il sistema giudiziario dai procedimenti per reati di lieve entità, più sicurezza, consentendo un controllo delle sostanze acquistate dai consumatori, e maggiore accesso alle terapie sanitarie per i malati che utilizzano la cannabis terapeutica e che oggi soffrono l’insufficienza della produzione italiana”.

Parola d'ordine: liberalizzare

In Italia la cannabis non è liberalizzata. Non è neppure legalizzata, salvo in caso di scopo terapeutico. Come funziona? Da circa 15 anni la legge consente di accedere alla cannabis per alcuni malati. Dal 2007 infatti i prodotti a base di cannabinoidi si possono reperire direttamente dal sistema sanitario nazionale, che se ne approvvigiona in due modi: il primo è attraverso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che ne produce circa 500 chili all’anno in un regime di monopolio di Stato; il secondo è d’importazione (per la maggior parte dall’Olanda), per cui l’Italia, attraverso il Ministero della Salute, distribuisce i prodotti alle farmacie private e agli ospedali. Soltanto i malati gravi, che rispondano ad una serie di requisiti, possono accedere all’uso della cannabis, ad esempio pazienti affetti da malattie degenerative o malati oncologici.

Così ogni anno il Paese affronta una spesa che incide sul bilancio per poco meno di 10 milioni di euro all’anno. Ma c’è un problema: la domanda di cannabis a scopo terapeutico supera di gran lunga l’offerta. A dirlo sono i Radicali Italiani, oggi al fianco di Walter De Benedetto, malato di artrite reumatoide, finito a processo per aver coltivato a casa autonomamente delle piante di marijuana. De Benedetto era in possesso di regolare prescrizione per cannabis terapeutica, ma non era sufficiente per alleviare i dolori. Per questo Walter ha deciso di auto coltivare le piantine. E’ diventato imputato in un processo al tribunale di Arezzo rischiando fino a 6 anni di reclusione.

“Per questi malati è fondamentale la stabilità terapeutica, avendo non solo lo stesso tipo di farmaco, ma anche la stessa quantità di principio attivo, invece per le norme italiane sempre troppo restrittive, viene messa in costante rischio la loro terapia, negando di fatto loro il fondamentale diritto alla salute”. Lo spiega a Today.it Riccardo Magi, deputato alla Camera di Più Europa. “In questi anni Walter non ha ricevuto dal servizio sanitario l’adeguato quantitativo di farmaco. Per far fronte alla cronica carenza di cannabis medica e per garantire continuità alla sua cura, ha deciso di coltivarla da solo. La storia di Walter è l’esempio di come la legge in Italia costringa i tribunali a processare i malati che coltivano il proprio farmaco invece di rivolgersi al mercato nero. Per questo bisogna cambiare la legge”.

Legge sulla cannabis, cosa prevede e la proposta di Magi

Che cosa prevede? Che un malato possa acquistare farmaci solo se distribuiti espressamente dal sistema sanitario nazionale. La legge (articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti) punisce chi “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti” ed è punito con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

Magi questa regola la vuole cambiare. Vorrebbe che il Parlamento discutesse e approvasse la proposta di legge di cui lui è primo firmatario. Il Ddl Magi, sostenuto da una 30ina di deputati di M5s, Pd e Leu, modifica l'articolo 73 del Testo unico, andando a depenalizzare completamente la coltivazione personale della cannabis. Da una parte non sarebbe più perseguito penalmente e amministrativamente chi dovesse coltivare marijuana in modo domestico per uso personale. Non sarebbe neppure sequestrabile. Dall’altra, trasformerebbe la modica quantità da attenuante ad articolo autonomo depenalizzato. In pratica chi venisse trovato con pochi grammi di droga durante un controllo, non verrebbe neppure arrestato.

“Questo perché le carceri sono piene di persone arrestate perché trovate con quantità irrisorie di stupefacente. Su 10 casi di controlli per droga, in 7 si va in carcere per la modica quantità”. Una battaglia che i Radicali conducono da sempre, anche per liberare le forze dell’ordine di un impegno che, secondo i liberali, è fine a se stesso, depressurizzando anche le procure e i tribunali di lavoro. Una proposta che mira a dare attuazione alle indicazioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che più di un anno fa, nel dicembre 2019, avevano stabilito come “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica destinate all'uso personale”.

Fatto sta che, al momento, la proposta è ferma alla Commissione Giustizia della Camera, dove si trova anche una seconda proposta della Lega, che va nella direzione opposta. Adesso sarà il relatore a dover redigere un testo che faccia sintesi delle due posizioni, in modo da superare la Commissione e passare alla Camera, dove sarà discusso e votato.

Dagli Stati Uniti alla Cina, le leggi sulla cannabis negli altri paesi

Da questo punto di vista, l’Italia sembra un paese molto lontano da realtà dove la cannabis è socialmente molto più accettata. E’ di pochi giorni fa la notizia che New York, New Mexico e Virginia ci hanno messo una settimana a legalizzarla e così oltre il 40% della popolazione statunitense vive in uno stato che ha abbandonato il proibizionismo sulla cannabis. In Spagna è legale sotto forma del “social club”. In pratica si può consumare e coltivare marijuana per uso personale e solo in determinate situazioni, cioè in ambito privato, solo nella privacy della propria abitazione o in luoghi prefissati. Da qui i club, con soci che possono entrare e consumare solo la propria cannabis. Il Canada l’ha legalizzata nel 2018. E poi naturalmente l’Olanda, dove è legale e liberalizzata all’interno e nei pressi dei Coffee Shop.

Al contrario, ci sono molti paesi che praticano un forte proibizionismo. Negli Emirati Arabi Uniti dove, nel 2008, un cittadino britannico fu condannato a 4 anni di carcere per 0,003 grammi di cannabis attaccati alla sua scarpa. La Cina ci va pesante. Chiunque venga trovato con più di 50 grammi di una sostanza illegale può essere condannato alla pena di morte. Anche gli “altri” Stati Uniti non la tollerano perché a livello federale rimane illegale e quindi può significare un problema soprattutto alle dogane e negli stati dove non è stata legalizzata.

Cannabis light, il ginepraio tutto italiano

L’Italia è sicuramente un paese lontano dalle punizioni di paesi dell’estremo oriente, ma non è neppure tollerante come Canada o Olanda. E’ forse in una posizione di guado e lo dice anche l’esperienza con la cannabis light, che in molte zone del paese è stata presa di mira dalle Procure, convinte che la versione light della marijuana fosse comunque capace di avere effetti psicotropi, superando un certo livello di Thc (il principio attivo della cannabis). L’anno scorso la Procura di Taranto aveva chiesto l’archiviazione per 56 persone, affermato che vendere prodotti derivati dalla canapa light era illegale, ma a causa della giungla normativa italiana chi lo aveva fatto non era punibile. Decisione arrivata dopo aver sequestrato nel 2018 oltre 1 tonnellata di “infiorescenze di canapa sativa” e migliaia di prodotti anche in Campania, Calabria, Sicilia, Lazio e Lombardia.

Nel 2019, nelle Marche, i giudici della sezione Riesami e Appelli di Ancona, avevano rilevato “come i derivati della cannabis, al fine di sortire un effetto stupefacente, debbano avere un quantitativo minimo di principio attivo tetraidrocannabinolo (THC) pari almeno allo 0,5%”, riconsegnando ai negozi anconetani quasi tutto il materiale sequestrato in precedenza. Restano in piedi una serie di procedimenti a Parma, con sequestri probatorio adottati dalla Procura nel 2019 nei confronti di diverse persone che vendevano confezioni di cannabis light. Numerosi gli indagati, a cui poi si erano succeduti altri sequestri e sospensioni di attività per alti negozi tra Parma e Bologna.

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