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Elezioni 2022 tra oligarchia e opportunismo

Le modalità con cui sono state definite le liste per il rinnovo del parlamento, evidenziano l’ulteriore involuzione del sistema democratico italiano. Ecco come si consuma un appuntamento elettorale svuotato dal suo significato più importante

Le modalità con cui sono state definite le liste per il rinnovo del parlamento, evidenziano l’ulteriore involuzione del sistema democratico italiano, rispetto alla quale profetico appare il libro del 2019 di Colin Crouch  “Identità perdute. Globalizzazione e Nazionalismo”, in cui vengono affrontati tutti i temi che riguardano la prospettiva politica, economica e sociale del nostro tempo: “la disuguaglianza socio-economica, le trasformazioni del welfare, l’ascesa delle nuove forze ‘populiste’, i mutamenti del lavoro e la sfida fiscale, il ruolo dell’informazione nella società postdemocratica”. 

Nel volume Crouch riprende e sviluppa l’analisi politologica già elaborata in “Postdemocrazia” del 2003, in cui l’autorevole sociologo e politologo, già docente alla London School of Economics, ha prospettato una severa analisi circa il tramonto della democrazia nei paesi occidentali, con l’instaurazione di una forma moderna di oligarchia. In essa le forme sono salve perché la democrazia non è eliminata ma viene svuotata di contenuti, passando dalla problematica del government a quella della governance: “Mentre le forme della democrazia rimangono pienamente in vigore e oggi in qualche misura sono anche rafforzate, la politica e i governi cedono progressivamente terreno cadendo in mano alle élite privilegiate, come accadeva tipicamente prima dell’avvento della fase democratica”.

Sembra avverarsi quanto sostenuto nel Rapporto della Trilateral Commission su “La crisi della democrazia” del 1975, in cui si sosteneva l’esigenza di verticalizzare il processo decisionale, semplificandolo, ripreso dalla banca d’affari statunitense JP Morgan con un documento nel maggio 2013, secondo cui: “I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”. E, tra gli aspetti problematici citati dalla banca (considerata responsabile della crisi dei mutui subprime), la tutela garantita ai diritti dei lavoratori.

Siamo in presenza della teorizzazione della fine degli strumenti di controllo e garanzia emersi nel corso del laboratorio politico del “Secolo breve”, tra la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e il crollo del Muro di Berlino del 1989. Un ‘900 che in verità sembra spiegare i propri effetti ancora oggi, a causa di guerre e pandemia. 

Ai nostri giorni i poteri decisionali si sono spostati verso i governi, sganciati dal rapporto con le assemblee parlamentari, inoltre, la comunità politica è divenuta autoreferenziale, preclusa all’accesso dei cittadini se non per cooptazione, grazie anche ad un sistema elettorale che consegna ai leaders nazionali la scelta degli eletti/nominati, con l’involuzione oligarchica della politica italiana e deleteri fenomeni di opportunismo, che hanno visto candidati passare da una lista ad un’altra e ad un’altra ancora, come se giocassero a monopoli. 

E a fronte della crisi democratica, al cui interno vi è la cancellazione dei temi meridionalisti, è evidente l’errore del Partito democratico italiani, di non sostenere gli strumenti tipici delle socialdemocrazie, il Welfare State e l’intervento pubblico regolatore del mercato come strumento di redistribuzione della ricchezza e del potere, che a partire dalla Costituzione di Weimar è stata definita “democrazia sociale”, orientandosi invece, per la promozione solo dei diritti civili, definendo “la disuguaglianza non in termini di classe – come scrive Crouch – ma sulla base di genere, etnia, orientamento sessuale, disabilità”.

Da qui l’avanzata delle forze cosiddette populiste, che è corretto definire secondo i paradigmi della scienza politica, nazionaliste, certamente eterogenee ma tutte legate al rapporto diretto tra il leader e quelle che un tempo si definivano le masse, oggi declinate come folla indistinta, spaventate da un futuro nebuloso, indignate dalle crescenti diseguaglianze e impaurite dalla presenza del “diverso”, dello “straniero”, una delle conseguenze della società “liquida” descritta da Zygmunt Baumann, assieme ad una sorta di estetizzazione del consumo ed alla fine dell’etica del lavoro.

Si può ben dire che il presente è senza nome e caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte al primato degli interessi mercatistici, quella conseguente delle ideologie e dei partiti, la secessione del singolo da una comunità solidale che lo rassicuri. 

E così, si consuma in Italia un appuntamento elettorale svuotato dal suo significato più importante, quello della restituzione dello scettro al sovrano in democrazia, il popolo sul territorio, che vedrà purtroppo un alto astensionismo a causa della negazione dell’elemento fondamentale della moderna cittadinanza: la partecipazione politica.

*Professore di diritto del lavoro nell’Università di Messina
Già Deputato regionale

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