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Piano di riequilibrio, scacco matto o grande bluff?

Ruota attorno a questo interrogativo il destino economico-finanziario del Comune di Messina. Una pagina ancora tutta da scrive dove sono saltate le regole più elementari della grammatica istituzionale

Scacco matto o grande bluff? Ruota attorno a questo interrogativo il destino economico-finanziario del Comune di Messina, legato alla rimodulazione del piano di riequilibrio. L'atto, varato ormai nel lontano 2012 per scongiurare il dissesto, è da diverse settimane sotto i riflettori della politica cittadina.

Siamo di fronte a una vera e propria tela di Penelope, che ha attraversato un commissariamento straordinario e due sindacature e che, da qualche giorno, è giunta ad un nuovo punto di snodo: l'istanza di rimodulazione proposta dalla giunta dell'eterno sindaco dimissionario Cateno De Luca.

Si tratta di un'operazione che potrebbe costituire un decisivo cambio di passo, non solo rispetto alle precedenti modifiche proposte dalla giunta Accorinti, e puntualmente bocciate dalla Corte dei conti, ma anche rispetto al "decalogo" con il quale gli stessi giudici contabili, lo scorso dicembre, avevano sollevato pesanti rilievi critici sull’attendibilità del piano di riequilibrio.

Ebbene, l’idea che uno scacco matto ai magistrati contabili possa tirar fuori la città dal baratro finanziario in cui si trova da quasi un decennio è una prospettiva che, disancorata da una interpretazione consapevole dei fatti, rischia di gettare fumo negli occhi di cittadini potenzialmente in balìa dell'ennesima strumentalizzazione politica da parte di un De Luca ormai entrato nel vivo della campagna elettorale per le regionali.

Per cominciare, va segnalato a scanso di equivoci, che la revisione in questione poggia sulla legge 234 del dicembre 2021 la quale prevede una mera "manifestazione della volontà di esercitare la facoltà di rimodulazione del piano di riequilibrio pluriennale" e non già l'automatica legittimità della rimodulazione stessa che, pertanto, dovrà essere sottoposta al vaglio della Corte dei conti la quale, naturalmente, potrebbe esprimersi in senso contrario.

D’altronde se si considera che la riduzione del debito complessivo previsto nel nuovo piano ammonta a oltre 400 milioni di euro (da 552 milioni di debiti passivi del 2018 si è passati agli attuali 145 milioni), qualche sospetto che la decisione della Corte possa non essere quella sperata sorge spontaneo. Non è trascurabile a tal proposito il fatto che il primo cittadino stesso dichiari come moltissimi creditori siano stati "persuasi" a stralciare il proprio credito dietro lo spauracchio delle imminenti dimissioni o della dichiarazione di definitivo dissesto.

Ulteriore questione di cui il sindaco sembra non tenere in debita considerazione è il ruolo del Consiglio comunale che, malgrado la sua centralità nel processo di approvazione democratica della revisione al piano di riequilibrio, si ritrova per l'ennesima volta bistrattato e istituzionalmente mortificato. In maniera del tutto paradossale, infatti, i consiglieri di Palazzo Zanca, senza ancora aver preso visione della documentazione contenente l’istanza di rimodulazione, vedono pesare sulle loro teste l’intera responsabilità del dissesto finanziario. "Adesso metto tutto nelle mani del consiglio comunale, vedremo se lo approveranno prima delle mie dimissioni altrimenti, se ciò non avviene entro febbraio saranno i consiglieri a mandare in dissesto la città". Queste le parole di De Luca durante la sua ultima diretta Facebook.

Alla luce di questo scenario le sorti del piano di riequilibrio del Comune di Messina sono ancora tutte da scrivere ma, al di là del merito, ciò che purtroppo resta è la conferma di una comunicazione umorale e di una gestione della cosa pubblica dove saltano le regole più elementari della grammatica istituzionale.

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