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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Forti umbertini da strutture militari a nuovi contenitori culturali, strategie per un processo di valorizzazione

Concepite per evitare conflitti bellici, furono pensate come sentinelle armate, appiattite sulle colline dei Monti Peloritani, che puntavano implacabili il corridoio dello Stretto. Nate già vecchie, non furono mai operative e rappresentano, ancora oggi, un caso tra i più plateali di obsolescenza immediata. Ma cambiare rotta si può

"Fatalmente tutti armano, compresi i piccoli Stati, e noi non possiamo restare inerti. Siamo nel Mediterraneo dove è disputata e si è anche insediata quella legittima influenza alla quale abbiamo diritto. Molte sono le cause di un grande, eventuale incendio europeo; molti sono i dissidi in questo vecchio continente che, o all'oriente o all'occidente, potrebbero produrre uno scoppio, e noi bisogna che ci troviamo preparati a fare il debito nostro. Non dobbiamo permettere cheil nome d'Italia, la bandiera del nostro paese potessero abbassarsi dinanzi alle esigenze dello straniero.Finché io sono a questo posto, di questi esempi non ne darò mai".   .

Così argomentava, il primo dicembre del 1887, Francesco Crispi, allora Presidente del Consiglio dei Ministri, presentando in parlamento la legge che prevedeva un ingente finanziamento per il rafforzamento dell'apparato militare italiano ed un programma per la realizzazione di numerose fortificazioni.

La legge fu il conseguente atto politico alla convenzione, militare stipulata il primo febbario dello stesso anno, tra l'Italia e la Germania firmata da Crispi e dal Cancelliere tedesco Bismark. Una Convenzione che impegnava l'Italia a rafforzare ed armare le sue strutture militari per esser pronta ad attaccare la Francia nel caso in cui questa, congiuntamente alla Russia, avesse attaccato, come si temeva, la Germania.

Il piano d fortificazioni

In attuazione alla nuova legge l’allora ministro della guerra Bernardino Milon fece elaborare da una commissione militare, presieduta dai generali Luigi Mezzacapo e Salvatore Pianelli, un piano generale di fortificazione del territorio italiano. In questo piano fu indicata come area a forte valenza strategica, visto l’incombere del rischio di un conflitto bellico nel cuore del Mediterraneo,  anche lo Stretto di Messina.

LE FOTO | Grandangolo sui forti dello Stretto

Fu così che nel breve volgere di un anno e mezzo (dal gennaio 1889 al giugno 1890) sul territorio messinese furono realizzati ben 13 forti armati, capaci di ospitare un contingente di circa 20.000 uomini, alcuni di questi furono eseguiti in tempi che oggi sarebbero inverosimili (cinque mesi). Venne realizzato un sistema di strutture militari che si affacciavano mimetizzate sull’intero scenario dello Stretto, inquadrando da Capo Milazzo e le Isole Eolie alla costa calabra fino a Capo Vaticano, da Scilla a Capo d’Armi ed oltre. Questo sistema fronteggiava quello speculare e gemello realizzato sulla costa opposta.

Queste fortificazioni, concepite con lo scopo deterrente di evitare conflitti bellici, furono pensate come delle sentinelle armate, appiattite sulle colline dei Monti Peloritani, che puntavano implacabili il corridoio dello Stretto. Esse non furono mai operative e rappresentano, ancor oggi, un caso tra i più plateali di obsolescenza immediata: un’obsolescenza in corso d'opera. Mentre venivano progettate qualcuno, Lawrence Hargrave, inventava veicoli aerei, che presto si tramutarono in aeroplani per scopi bellici.

Mentre si realizzavano nasceva l'aviazione militare ed ogni nazione se ne dotava. Così i forti umbertini smisero subito di essere invisibili e la loro efficacia militare venne neutralizzata.

Strutture nate già militamente "vecchie"

Fu così che i Forti Umbertini dello Stretto nacquero già militarmente superati, inaugurando quella consuetudine italiana, oggi molto abusata, che caratterizza molte realizzazioni di opere pubbliche la cui concezione spesso contiene forti anacronismi che le condannano ad essere da subito inadatte agli scopi urbani, sociali e civili cui sarebbero destinate, rendendole, nell’immediato o a breve giro, inutili, inutilizzabili o sottoutilizzate, presto destinate ad una senescenza precoce che le conduce prima all’abbandono ed in ultimo al degrado.

Come anzi detto il sistema di difesa dello Stretto puntava la sua efficacia militare sulla mimetizzazione essendo tutte strutture in trincea, invisibili da qualsiasi punto d'attacco, tranne che quello dal cielo. Il nemico in transito nello Stretto sarebbe stato sempre sotto puntamento senza percepire di essere preso di mira. Qualsiasi azione offensiva sarebbe stata neutralizzata dall'attacco congiunto dell'intero sistema che avrebbe coperto senza lasciare scampo l'intera area dello Stretto.

Perso il loro potenziale strategico, venuta meno la loro invisibilità, furono dismessi subito dopo la loro inaugurazione, i più tardivi non furono nemmeno inaugurati.

Per fortuna che il loro star nascosti non li ha resi elementi di disturbo dell’integrità del paesaggio collinare e la loro caratteristica tipologica non gli ha permesso il contatto diretto con i miti dello Stretto impedendogli ogni contaminazione simbolica ed ogni alterazione della bellezza orografica dei margini dello Scill’è Cariddi.

La loro valorizzazione

Oggi il sistema delle fortificazioni umbertine è un insieme di elementi che nonostante la loro localizzazione satellitare conserva un’integrità sistemica che andrebbe al più presto valorizzata con un intervento omologo che non si basi solo sull’attività di mera conservazione.

Per promuovere e fruire questo sistema è necessario attualizzarne la funzione, unica misura che può restituirgli un nuovo e più appropriato valore culturale. Qualsiasi sforzo economico finalizzato solo al restauro integrale dei caratteri architettonici, soprattutto se operato per singoli elementi, senza una rifunzionalizzazione strategica, verrebbe assorbito, prima o poi, da una perniciosa sterilità di ritorno, ripetendo, come un meme, l’obsolescenza funzionale di cui è stato vittima alla nascita.

Una rete di funzioni culturali attive all’attualità

Queste singolari strutture militari debbono diventare un insieme di contenitori di funzioni culturali attive opportunamente infrastrutturato ed interfacciato con la funzionalità urbana e territoriale, in modo da svolgere il ruolo di grande attrattore antropico differenziato (cultura, turismo, arte, commercio, artigiano, etc.).

Deve diventare una rete di funzioni culturali attive all’attualità al cui interno sono localizzate funzioni culturali di varia scala (da quella nazionale a quella locale), in modo da consentire una fruizione strutturale del sistema stesso.

Il processo di valorizzazione dei sistema dei Forti Umbertini dello Stretto non può certo limitarsi a singoli interventi o all’insediamento di singole funzioni, bensì deve rifunzionalizzare e infrastrutturare l’intero sistema, ponderando e calibrando le nuove destinazioni alle vocazioni naturali e potenziali del territorio in cui ogni forte ricade. Ciò non potrà prescindere dal coinvolgimento del contesto naturale circostante.

Una riabilitazione va intesa quale radicale cambio di qualifica: da presidi militari a presidi culturali. Con il recupero formale vanno previste nuove destinazioni d'uso e nuove cifre espressive che siano compatibili il valore culturale riscontrato. Solo cosi si può raggiungere l'obbiettivo di una riutilizzazione senza rischi di obsolescenza.

La valorizzazione del sistema oltre alla tutela, alla conservazione, alla rifunzionalizzazione deve attivare nuovi processi formali che esplorino inediti campi semantici, espressione delle necessarie nuove ergonomie, dell’adozione di imprescindibili nuovi sistemi tecnologici e di nuovi opportuni regimi energetici. Nuovi processi formali che dialoghino con gli involucri preesistenti senza contaminarne la loro coerenza narrativa e il loro ruolo evocativo.

Si tratta di operare un processo riabilitativo la cui ontologia non sia il nuovo ma la riabilitazione del passato, facendo si che il sistema si trasformi in un gruppo di elementi che da sentinelle militari divengono guardiani della memoria e dell’identità culturale. Una memoria ed un’identità con le quali si può costruire il futuro sviluppo culturale e turistico nell'area dello Stretto di Messina.

L'identità naturalistica peloritana

La città potrebbe dotarsi di un circuito di nuovi luoghi ove sia possibile declinare liberamente, e in modo partecipato, ogni tipo di esperienza espressiva, da quella artistica a quella culturale, rafforzando quell’identità naturalistica peloritana che da secoli regna sulle colline che si affacciano sui miti dello Stretto.

Le colline dello Stretto: un territorio che oggi appare tremendamente martoriato da ogni tipo di intervento ed insediamento antropico. Paradossalmente l’unico innesto che si è perfettamente integrato senza compromettere la loro integrità naturale e senza contaminare l’unicità del paesaggio dei Monti Peloritani è stato il sistema dei forti umbertini.

La loro valorizzazione, dunque, potrebbe assumere la forma di un monito paradigmatico, potrebbe divenire un modello che ci insegni a gestire meglio quel poco di ambiente naturale incontaminato ancora rimasto su quelle colline offrendolo finalmente ad una fruizione civile armonica e sostenibile.

Destinare, oggi, questo sistema ad un circuito di strutture culturali rinforzerebbe quello scopo pacifista che in questi giorni pare abbia tragicamente perduto la sua sacralità costituzionale.

Al posto dei cannoni mettiamo libri ed opere d’arte, scuole di formazioni e centri di produzione culturale.

Concepiamo la cultura come unica fortificazione che può distogliere dall’idea della guerra, chiunque la pratichi, e non armamenti da inviare in Ucraina.

Fare di questo sistema bellico dei contenitori culturali per la pace contro le guerre sarebbe un piccolo tentativo metaforico per cambiare la rotta guerrafondaia dell’attuale pensiero dominate

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