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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

La morte del sottufficiale Visalli e la dittatura dei social che segna il tramonto della compassione

Troppi ragazzi, troppi adulti, oramai vivono sommersi nella bolla dell’immaterialità, disinteressati a tutto ciò che accade intorno a loro, per questo nel video dopo la salvezza, il ragazzino dimentica di citare colui che, nell’ansia di salvarlo, si è giocato l’intera vita. Questa è la mostruosità

La morte di Aurelio Visalli, terribile, insopportabile e priva di ragionevolezza, rappresenta il capitolo principale di una tragedia ancora più grande, a cui le nuove tecnologie forniscono quotidianamente gli strumenti necessari, in particolare attraverso il loro braccio armato, i social network, diventati oramai un vero e proprio mondo parallelo, un luogo diffuso, estesissimo da dove sono stati banditi le inibizioni, freni indispensabili al funzionamento degli individui e delle collettività, ma sono sparite spesso la ragionevolezza e quasi sempre la compassione.

La prova è nel filmato postato da uno dei ragazzi in pericolo di annegamento, una situazione estrema che aveva provocato l’intervento della guardia costiera, di cui Aurelio era un dipendente.

Nelle parole del ragazzino c’è un concentrato di quella brutale distanza introdotta dalla comunicazione immateriale nelle vite degli individui, un separatore capace di privarci dei sensori che ci fanno “sentire” il nostro prossimo. I social network, salvo rare eccezioni, sono ormai un pericoloso monumento all’individualismo, e dunque non poteva mancare la loro sinistra presenza nella passione e morte di un onesto padre di famiglia, cresciuto, a differenza dei ragazzi soccorsi, in un mondo tridimensionale, dove il corpo esiste, gioisce, soffre, si ammala, vive e muore.

Non una rappresentazione virtuale bensì un una realtà vera nelle cui pieghe la morte è irreversibile e devasta la vita degli individui, talvolta per generazioni. I pronipoti di Aurelio porteranno sulla loro pelle i segni, anche nobilitanti ma non solo, del sacrificio di Aurelio, della sua sposa, dei loro figli.

Troppi ragazzi, troppi adulti, oramai vivono sommersi nella bolla dell’immaterialità, disinteressati a tutto ciò che accade intorno a loro, per questo nel video dopo la salvezza, il ragazzino dimentica di citare colui che, nell’ansia di salvarlo, si è giocato l’intera vita. Questa è la mostruosità.

Non servono le correzioni a posteriori, forse ispirate da adulti più prudenti, quello che per noi deve restare a futura memoria sono le parole cariche di epica per lo scampato pericolo ma prive di gratitudine, incapaci di registrare l’immane dolore che si è scatenato.   

Se non ci fosse stata quella morte, i social sarebbero divenuti i luoghi celebrativi dell’incoscienza, della sfrontatezza che se ne frega della natura e pretende di domarla, solo per il gusto di rendere palese la propria esistenza. Forse dobbiamo offrire altre strade di emersione alle nuove generazioni.

* psicoterapeuta e analista adleriano

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