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Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Ugo Mattei e l’incoscienza pandemica, pericoloso crepuscolo del noi e della ragione

Per una questione di origini sociali, confesso di provare un certo fastidio quando qualcuno pronuncia parole come “intellettuale” o “maestro”. Un fastidio radicale, al punto che un anno fa mi sono precipitato a bloccare le bozze di un depliant, che definiva “lectio magistralis” il mio intervento all’interno di una bella manifestazione friulana, trasformato in “lectio socialis”.

Se mi dessero dell’intellettuale mi offenderei, assai di più di quanto mi sarei adontato se mezzo secolo fa mi avessero chiamato terrone.  Ascoltare le tesi di Ugo Mattei sulla pandemia mi conferma che sono nel giusto. Nello stesso tempo mi ricorda che l’unico intellettuale degno di questo nome rimane il mio collega di manovalanza, Martino. Quinta elementare, uomo di sublime eclettismo, capace di posare un impianto elettrico, idraulico, termico, riparare il motore ma anche il pavimento dell’auto quando si bucava, aggiustare una serranda e milioni di altre cose.

Buon senso e altruismo a prova di bomba. Ci fossimo persi in dieci nelle profondità di una foresta, sarebbe stato l’unico a sopravvivere, tra gli altri nove non includo il docente torinese che, a giudicare dal modo in cui approccia l’emergenza e dalle affermazioni temerarie sul Covid, alla foresta non ci sarebbe neppure arrivato, figuriamoci uscirne.

Martino era un vero maestro. A differenza di tanti palloni gonfiati, magari colti, lui era intelligente davvero, se consideriamo l’atto di intelligenza come la “risposta adattiva a uno stimolo nuovo”, così ce la raccontava il professor Guido Petter all’università di Padova, negli anni Settanta. Si, Martino era un maestro, adatto alla vita, saggio, abile e prosociale, ossia sapeva stare coi propri simili senza presumere che fossero degli stupidi, epiteto che sarebbe meglio dispensare con prudenza, soprattutto quando la suggestione del riferimento autobiografico può essere dietro l’angolo.

La posizione di Martino sulla pandemia e sulle modalità per affrontarla sarebbe stata intelligente, legata alla realtà, non avrebbe lasciato spazio per quelle che lui definiva “minchiate”, perché il risultato e l’interesse collettivo sarebbero stati i suoi chiodi fissi. Per essere espliciti, se fosse arrivato sul luogo di un incidente, si sarebbe preoccupato di soccorrere i feriti, non di verificare se quelli la mattina si erano cambiati le mutande e nemmeno se l’investitore si era lavato i denti, aveva pagato il bollo, conosceva l’articolo 3 della Costituzione, tantomeno si sarebbe sognato di intervenire a capocchia su materie che non conosceva, perché, lo abbiamo già detto, lui era intelligente. Prima avrebbe salvato tutto ciò che si poteva salvare. Martino sapeva che vi è un primato della vita, che prevale sulle stesse regole che servono a organizzare i gruppi sociali, con buona pace dei giuristi, in caso di conflitto una persona sana non dovrebbe avere dubbi, neppure mettersi a galoppare paranoie e deliri persecutori, rischiosi da vellicare quando c’è rabbia sociale.

Se avesse avuto paura del vaccino, tanto per dire, Martino lo avrebbe detto senza vergognarsene, non avrebbe convertito le sue patofobie in prese di posizione irragionevoli, pseudo eroiche ma in effetti solo aride, prive di empatia, surreali, sofiste. Si sarebbe limitato a dire: “scusate, il vaccino mi fa paura, ma siccome bisogna fidarsi gli uni degli altri, dunque ecco il mio braccio” (quello vero, mica quello posticcio del dentista). Non avrebbe usato numeri e circostanze come si usano i bussolotti.

Il mio vecchio collega di fabbrica Martino era saturo di dubbi e precauzioni, ignoti al professore, leader del movimento che prende nome proprio da quell’aggettivo e da quel sostantivo, vista l’irragionevole tenacia con sui si oppone, da giurista, all’intera, o quasi, comunità di virologi e medici del Pianeta.

Il mio amico sapeva che le parole possono essere pallottole nel bel mezzo di una pandemia, non avrebbe mai fatto riferimento a possibili “effetti oncogenici”, magari dopo averlo letto su internet.

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