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Lunedì, 29 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Architettura, il Liberty a Messina e la mancata Belle époque

La breve età dell’oro dei Leoni di Sicilia frenata dai Gattopardi sabaudi, che dopo il 1908 impedirono alla città di risorgere come il paradigma della città moderna

Tra la fine dell’’800 e gli inizi del ‘900 in Sicilia si assistette ad un inedito sviluppo industriale attivato da una borghesia con radici esogene antitetica alla tradizionale aristocrazia baronale che per secoli ha dominato le sorti dell’isola nonostante il susseguirsi delle corone.

In Europa era la Belle Epoque, un arco di tempo in cui vi fu un incremento esponenziale della produzione industriale e dei commerci. Presero il via le rotte transoceaniche, si sviluppò in modo efficace il trasporto ferroviario, nacquero le prime industrie di automobili.

Scatti... Liberty, a spasso nella Sicilia al tempo dei Leoni

Fu il tempo in cui si diffuse la luce elettrica. L’invenzione della lampada ad escandescenza da parte di Thomas Edison illuminò l’occidente diffondendo il suo brillante chiarore e con esso la gioia di vivere e di socializzare. Le ore e i luoghi che prima erano avvolti nel buio o rischiarati dalla luce tenue di lampade e candele si accesero e diedero vita a nuove funzioni e nuovi spazi di relazione: i cinema, i teatri, l’opera, le operette, il balletto, i cabaret, i caffè, i ristoranti, le stazioni ferroviarie, le stazioni termali, gli alberghi per la villeggiatura, etc...

Fu un’epoca intensa di novità vitali che, retrospettivamente, comparata con il successivo dramma del primo conflitto mondiale, venne appellata nostalgicamente come: l’Epoca Bella nella quale videro la luce le prime avanguardie artistiche, nuove ed inedite esperienze espressive che furono una rottura radicale con tutti i processi artistici e culturali precedenti.

L’Architettura Modernista

In architettura quest’epoca si plasticizzò con un nuovo linguaggio: il Modernismo. Un nuovo modo di concepire l’architettura che verrà declinato in modo multiforme in ogni area geografica del vecchio continente assumendo diverse denominazioni.

I prodromi furono in Inghilterra dove grazie a John Ruskin, William Morris e Charles Rennie Mackintosh nacque il Modern Style. Successivamente dalla Gran Bretagna si diffuse in tutta Europa.

In Belgio, dove venne chiamata Art. Nouveau, si affermò, a partire dal 1893, attraverso l’estro geniale di Victor Horta (colui che per primo propose la linearità flessuosa dello Schiocco di frusta), Paul Hankar e Henry Van der Velde. In Francia l’architettura dell’Art Nouveau esplose sul finire del XIX secolo. I suoi grandi interpreti furono Hector Guimard e Jules Lavirotte.

In Germania si espresse con una semantica più vicina alla versione inglese. Importata dall’architetto Erman Muthesius, addetto culturale all’ambasciata di Londra verrà chiamata Jungendstil (stile giovane). Tra i più grandi interpreti segnaliamo August Endell e Peter Behrens, quest’ultimo fu uno dei precursori del razionalismo. In Austria verrà chiamata Secession. Dopo la trasformazione urbanistica di Vienna da parte di Otto Wagner un gruppo di architetti ed artisti viennesi dichiararono la secessione dall’arte ufficiale e dettero vita ad un nuovo linguaggio artistico e architettonico ispirato al Modern Style inglese e allo Jungendstil tedesco. I maggiori interpreti della nuova architettura furono Otto Wagner, Joseph Maria Olbrich, e Joseph Hoffman.

Anche la Spagna coniò il suo Modernismo per dare una veste inedita all’espansione urbanistica di Barcellona progetta da Ildefonso Cerdà, ma i vari Lluís Domènech i Montaner, Jeroni Ferran Granell e José Grases Riera furono oscurati dalla grandezza creativa e irraggiungibile di Antonì Gaudì che andò oltre l’arte nuova declinando un verbo naturalista surreale, assolutamente originale e irripetibile.

L’architettura modernista invase tutta l’Europa del nord e dell’Est fino alla Russia e tutte le colonie che le potenze europee avevano in Africa, Asia e Sud America. Anche il Nord America e gli Stati Uniti furono fortemente influenzati.

I caratteri dell’architettura dell’arte nuova

Si trattò di un linguaggio intriso di segni inediti il cui significante era la forza creativa e imprevedibile della natura che dà vita al mondo vegetale e al mondo animale.

La rappresentazione antropomorfa era interpretata da corpi sinuosi che esprimevano con estrema chiarezza sensualità, voluttà, erotismo. Istinti che sono il motore del mondo e i prodromi della vita e del piacere di viverla

Un’architettura inedita la cui polisemia aveva come referente la forza vitale della natura, come significato l’idea che la bellezza, l’eleganza e la leggerezza nascono dalla forza gioiosa ed incontenibile della natura. Una semantica che si esprimeva con una esaltazione geometrica generata dai sensuali e piacevoli intrecci di forme che creano atmosfere dense di tenerezza.

L’architettura dell’arte nuova è una forma dal significante al femminile. I suoi stilemi, le geometrie, le curve, il colpo di frusta alludono alle grazie delle forme femminili. Per la prima volta nell’architettura il corpo femminile è rappresentato nei suoi spasmi del piacere, nei suoi contorcimenti fisici, che sono l’estroflessione del contorcimento sensuale del pensiero e della voluttà femminile. È un’architettura erotica, in alcuni casi orgasmica che plasticizza in modo efficacie l’anima della dimensione femminile.

Un linguaggio che non manca mai di sottolineare la centralità del mondo femminile. I segni del liberty sono il significante dell’affascinante universo femminile in ogni suo particolare fisico e metafisico, dalla delicatezza dei gesti alla passionalità del pensiero. Rappresentando la leggiadria delle forme femminili metaforizza l’agilità di pensiero delle donne. Una sensualità nella quale si inserisce con prepotenza la natura con la sua magica creatività. Donna e natura come matrici primarie della vita gli unici elementi del creato capaci di generare la vita.

Il Liberty in Italia

In Italia, nazione di recente costituzione, ove era stato codificato uno stile architettonico nazionale basato su verbi storicisti che mettevano insieme i vari regionalismi, l’architettura modernista stentò ad introdursi. L’architettura sabauda costituiva essa stessa una novità promulgata con impeto dall’Accademia di Brera. l’Art Nouveau trovo il suo spazio solo in alcune aree geografiche, quelle più a contatto con il continente e nella Sicilia. La sua introduzione fu favorita dalla diffusione di oggetti esotici di designer e d’arredo commercializzati da Artur Liberty che a Milano alla fine del ‘800 aprì una sua filiale.

Ciò giustifica l’appellativo italiano dell’architettura modernista: Stile Liberty, che fu magistralmente interpretato da Raimondo D’Arondo in Friuli, Giuseppe Sammaruga, Giovan Battista Bossi, Giuseppe Castiglioni in Lombardia, Pietro Fenoglio in Piemonte, Giovanni Michelazzi e Giuseppe Brega nel centro Italia, Ernesto Basile a Roma e in Sicilia.

La regione dove si diffuse per prima e in modo fenomenologico fu la Sicilia, partendo da Palermo, seguita a ruota da Milano, Torino e poi Firenze, aree dove si era imposta una borghesia industriale di stampo progressista. A Genova e Roma, dove, nella prima, dominava una forte borghesia industriale positivista, e nella seconda, una intransigente burocrazia umbertina, non ebbe molta eco.

I Leoni di Sicilia

Palermo durante la Bella Èpoche fu una delle capitali industriali nel nuovo Stato Italiano unitamente a Milano, Torino e Genova. Fu il quarto vertice del famoso triangolo industriale. Questo ruolo preminente nello sviluppo produttivo della nazione gli conferì un successo di dimensione internazionale che avvenne grazie ad alcune famiglie di industriali non allogene come i Florio.

I Florio furono l’ultima dinastia esogena che si insediò e prosperò nell’isola. Prima di essi si erano già insediati nell’isola, contrastando il dominio dell’antica baronia feudale, immobile da secoli sui suoi privilegi e le sue angherie, le famiglie della dinastia del mercante di vini di Liverpool John Woodhouse, il primo a produrre il vino Marsala, degli inglesi Benjamin Ingham e Joseph Whitaker, seguiti a ruota da James Hopps, Joseph Payne e Matthew Clarkson.

Costoro furono i primi a industrializzare l’isola e le sue risorse. Cominciarono a produrre e commerciare zolfo, vino, cenere di soda, manna, tessuti, semi di lino, mandorle, fichi, orzo, olio, etc.. Gli inglesi attivarono un processo industriale inedito nel quale si inserirono i Florio ed altre famiglie straniere proveniente dal continente europeo, come i tedeschi Arenth che commerciavano in materie tessili.

I calabresi Florio, il cui patriarca Paolo si era trasferito a Palermo da Bagnara Calabra dopo il terremoto del 1783, cominciarono a commerciare spezie e chinino nel centro storico del capoluogo siciliano, aprendo un negozio in via dei Materazzai. Poi piano piano acquistarono alcune tonnare dell’isola, tra le quali quella di Favignana, innovando le modalità di conservazione del tonno. Furono i primi a produrre tonno sottolio di altissima qualità che commerciarono in tutto il mondo. Prima di loro il tonno si conservavano solo sotto sale.  Acquistarono moltissimi vigneti e cominciarono a produrre anch’essi vino Marsala e vino Corvo di Salaparuta. Passarono poi alle miniere di zolfo, alla costruzione di alberghi e case di salute, fino alla realizzazione dei Cantieri Navali di Palermo e alla creazione di una compagnia di navigazione in società con i Rubbattino di Genova: la Compagnia Nazionale di Navigazione che intraprese le rotte transoceaniche. Istituirono gare sportive internazionali come la Targa Florio.

Questi furono i “Leoni” che in quel periodo sostituirono brillantemente i vecchi e improduttivi “Gattopardi”.

Si trattò di una borghesia industriale di stampo progressista, proficua e innovativa, che produsse benessere, ricchezza e sviluppo sociale in tutta l’isola.

La Sicilia al tempo dei Leoni, fino alla prima guerra mondiale, era rinomata nel mondo per la produzione del suo vino che prevalentemente si coltivava nei vitigni del catanese e nel cuore dell’isola, per lo zolfo proveniente dall’area agrigentina, per il Marsala e Tonno sott’olio del trapanese, per gli agrumi del siracusano, per la produzione olearia e casearia del ragusano e per le essenze agrumarie del messinese. Chiudeva Palermo famosa nel commercio di spezie, stoffe, stoviglie, per la cantieristica e per essere divenuta una delle capitali moderne d’Europa sviluppando anche una posizione egemone nel Mediterraneo.

Ernesto Basile

Fu in questo frangente storico che appare sulla scena il genio di Ernesto Basile. Un giovane architetto, figliolo di Giovan Battista Filippo Basile, architetto, famoso per aver progettato il Teatro Massimo di Palermo, allora il secondo teatro più grande d’Europa dopo l’Operà di Parigi.

Egli aveva studiato a lungo le architetture moderniste del continente ed aveva elaborato,, secondo il suo estro, gli stilemi del Modern Style inglese nelle architetture effimere dei padiglioni della Esposizione Nazionale di Palermo del 1897, generando quella che poi sarà la cifra stilistica del Floreale siciliano e anticipando il successo di Raimondo D’Aronco nella Esposizione Internazionale di Torino del 1902.

Il nuovo linguaggio attirò molto la descritta borghesia industriale siciliana, specie i Florio, che furono i primi ad adottare quel nuovo linguaggio quale marchio estetico distintivo del loro successo industriale e commerciale.

Basile sbalordì il pubblico isolano con la sua prima grande architettura: Villa Igea all’Acquasanta, destinata in origine a casa di cura. Era il 1899. In quest’opera impiegò e formò quella vasta scuola di pittori, scultori, vetrai ed ebanisti che fu il cuore pulsante del Liberty siciliano. Qualche anno dopo, nel 1901, confermò il suo talento e la sua cifra stilistica con la magnifica Villa Florio all’Olivella.

D’allora la sua fama raggiunse livelli internazionali ed ebbe incarichi in tutta la Sicilia da Catania a Caltagirone, da Licata ad Ispica. Presto cominciò ad operare anche nella penisola. Nel 1902 progettò la villa della famiglia Florio nella capitale. L’anno dopo, sempre a Roma realizza la villa del famoso scultore Ettore Ximenes e nel 1904, sempre nella città eterna, la villa di Antonio Starrabba marchese di Rudinì che nel frattempo era divenuto Presidente del Consiglio.

Lavorerà intensamente tra l’isola e la capitale sino al 1913 quando realizzerà a Palermo, il Palazzo della Cassa di Risparmio (istituto bancario di riferimento della borghesia industriale siciliana) e il Palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia, entrambi in via Roma. Nel 1918 saranno ultimati, a Roma, l’ampliamento e gli interni di palazzo Montecitorio.

Toccherà Messina solo nel 1925, ormai settantenne, ove progetta le quinte prospettiche di Piazza del Popolo e nel 1926 progetterà insieme a Cesare Bazzani la filiale della Cassa di Risparmio. Si tratta di opere dal lessico ormai spento ed inefficacie che non produrranno nessuna influenza nella città già definita e caratterizzata dall’ormai famoso neoeclettismo messinese di marca coppedeana.

Il Liberty in Sicilia

Viceversa il suo verbo, grazie, ad una folta schiera di epigoni si diffuse in tutta la Sicilia.

I maggiori esponenti della sua scuola a Palermo furono Vincenzo Alagna, Giuseppe Tamburello, Filippo Viola, Filippo La Porta, Francesco Paolo Rives e tanti altri. Suoi discepoli che divennero caposcuola locali furono: Tommaso Malerba a Catania, Saverio Fragapane a Caltagirone, Filippo Re Grillo a Licata e Francesco la Grassa a Trapani.

Grazie a questa cordata di emuli e alle maestranze uscite dalla sua scuola il verbo basiliano, tra il 1900 e il 1920, si diffuse in tutta l’isola, tranne che a Messina.  Vi furono centri minori, come Vittoria, Avola e Canicattì dove si registra una vera e propria fenomenologia del floreale siciliano.

La stagione del Liberty in Sicilia coincise e fu espressione della stagione dei “Leoni”. Fu la cifra dell’“età dell’oro” che espresse un notevole dinamismo economico che guardava al mondo anglosassone e alle esperienze moderniste europee più che all’Italia Sabauda. Ebbe inizio nell’ultimo decennio dell’800 e si spense con la prima guerra mondiale. Dopo ritornarono i “Gattopardi”, i latifondisti agrari di sempre.

Il liberty a Messina

Anche la millenaria città peloritana seguì, seppur all’inizio, la spinta produttiva dei Leoni di Sicilia. In essa durante Bella Èpoche agì una borghesia industriale esogena trapiantata a Messina sin dagli inizi del XIX secolo che operava in attività industriali, armatoriali e di commercio, come gli Stinnes, i Pierce, i Sanderson, gli Attard, i Barrett, i Weigert, i Grill, etc..

Una borghesia progressista che fino al 1908 fu omologa a quella panormita e siciliana e che ne interpretò, per un brevissimo periodo 1900-1908, anche l’estetica del Liberty floreale, nelle sue dimore extra urbane, lasciandoci alcuni pregevoli esempi di architettura modernista e floreale affacciate sull’incantevole panorama dello Stretto, incastonate lungo l’amena Riviera Nord, ove si susseguono suggestive località, i cui toponimi rendono icastica la loro magica bellezza: Paradiso, Pace, Contemplazione. Località ancor più incantevoli delle panormite Mondello, Santa Flavia o Acquasanta.

Si tratta di autentici capolavori di altissima qualità Liberty come:

Villa Garnier, a villaggio S. Agata, realizzata per la famiglia Garnier nel 1903 dall’ing. Santacaterina. Presenta uno dei portali più belli dell’Art Nouveau, il cui linguaggio ne interpreta a pieno i verbi più alti. Nell’originalità della sua forma c’è la sintesi assoluta di tutta l’architettura modernista. Un grande capolavoro;

Villa Martines, sempre a villaggio S. Agata, a pochi passi da Villa Garnier, fu realizzata nel 1905. Presenta l’involucro tipico dei villini liberty siciliani ed è caratterizzata da due mosaici di maioliche sui timpani raffiguranti delle rondini in volo, simbolo dell’arrivo della primavera, della giovinezza. I pannelli sono protetti dalle onde di una graziosa mantovana di gronda. Il tema iconografico è tra i più frequenti e distintivi dell’Art Nouveau belga e francese. Autentica la sinuosità del parapetto del terrazzo. Siano di fronte ad un’architettura di respiro internazionale che possiamo valutare come una delle più significative della città;

Villa Florio, al n. 463 di villaggio Pace, ultimata nel 1909. La sua articolazione volumetrica è tipica delle ville palermitane di Ernesto Basile. Vi sono parecchi elementi distintivi del verbo architettonico del genio panormita, come la torretta laterale con ricorsi orizzontali e la pregevole l’architettura del pronao che con i pilastrini interni della serliana che si trasformano in due alberi declina uno dei temi tipici dell’Art Nouveau: l’albero della vita. La sommità del pronao riecheggia molto le conclusioni della Centrale Elettrica di Caltagirone, della Villa Ida Florio a Palermo e del famoso Chiosco Ribaudo. Gli apparati floreali sono tipici del repertorio basiliano, così come i lampioni. Tutti questi indizi, nonostante la mancanza di prove certe, inducono ad una verosimile attribuzione dell’opera al genio di Ernesto Basile, considerato che da più parti si apprende del legame tra la villa e la famiglia dei Florio di Palermo;

Villa Elena a Granatari, il cui cancello d’ingresso ostenta una cifra Jungerstil che propone la tipica iconologia del girasole diffusissima in tutta l’Art Nouveau europea che riecheggia quello stilema che caratterizzò il famoso ingresso del negozio di Bing a Parigi, dove tutto ebbe inizio. Era 1895;

la villetta ad angolo al n. 509 di Villaggio Pace, un villino che presenta tutti i canoni del Liberty siciliano. Cornici moderniste e fascia di sottogronda con stilemi floreali, capitelli con fiocco, ringhiere sinuose. Un’opera di autentico gusto floreale;

nel villaggio “Paradiso”, al n. 141 della Consolare Pompea, vi è un piccolo edificio dalla tipologia commerciale che sorprende per il suo inaspettato linguaggio Secession. Ostenta chiari verbi  viennesi dai medaglione ai pendagli stilizzati ed esprime una armoniosa modernità mitteleuropea;

Sempre fuori città, si segnala in ultimo, l’Edificio dell’ex industria agrumaria a S. Lucia Sopra Contesse.  Un notevole esempio di Liberty applicato alle attività produttive. L’involucro ad una levazione è articolato alla maniera modernista presenta la tipologia delle bucature e il lessico delle cornici in chiara e autentica cifra floreale di marca basiliana. Un piccolo gioiello di Liberty industriale.

Il muro contro la modernità

Nel 1908, in piena Belle Èpoque, la città di Messina venne distrutta dal terremoto e dovette rinascere ex novo. A seguito di questo dramma si verificò una grande occasione per i “Leoni“ siciliani, quella di generare nell’isola una città unica ed omogena in quella estetica che più di tutti rappresentò il loro pensiero progressista e la loro mentalità efficientista ed intraprendente. L’occasione fu propizia per generare una città unica al mondo come una nuova Venezia dei Dogi o una Firenze dei Medici, la Messina dei Leoni industriali. Un autentico ed integro gioiello di città in cifra liberty floreale, che sarebbe stata una delle più grandi meraviglie dell’architettura e dell’urbanistica di tutti i tempi. La più grande e significativa delle trasformazioni urbane della modernità. Bastava far intervenire Ernesto Basile e la sua scuola di epigoni che in quel frangente era il prototipo dell’architetto moderno. Invece, là dove si puote far ciò che si vuole, si scelse di far intervenire Gino Coppedè che con il suo verbo chiassoso influenzò tutta l’estetica della città risorta, marcandola con un neoeclettismo anacronistico, spesso vernacolare ed epidermico intriso di medievalismi fiorentini e manierismi rinascimentali.

Fu un atteggiamento reazionario che unitamente al neoeclettismo dello stile sabaudo delle architetture pubbliche non lasciò alcuno spazio a Basile e al suo Liberty floreale del quale, nella nuova città, si ebbero solo tardivi e sporadici echi.

Messina fu chiusa nella rappresentazione neoeclettica di un improbabile passato voluto da una borghesia agraria che migrava dall’entroterra conquistando il cuore della nuova città, paludandosi di un’estetica storicistica lussiosa e blasonata di cui si servì per suggestionare e radicare il suo potere.

Fu come un trapianto di un organo vecchio e malato in un organismo giovane e sano.

I vecchi Gattopardi ebbero la meglio sui giovani Leoni. Il neo eclettismo fu il baluardo che la Storia Moderna trovò a Messina. La città perse la grande occasione di divenire un paradigma universale della modernità. Proiettata nel passato, non ebbe più l’idea del futuro, cadendo in un feudalesimo ancora irrisolto.   

Fu così che a Messina il Liberty non trovò alcuno spazio, la città, dopo il 1908, fu conquistata da una borghesia agraria di matrice latifondista antitetica alla borghesia industriale dei Florio, dei Woodhouse, dei Whitaker dei Sanderson, etc..

Una vecchia aristocrazia baronale che in quella tragica circostanza si preoccupò solo di ostentare il suo blasone concentrandosi nella ricerca di un nuovo modo per poter continuare ad esercitare il mero e misto imperio, infiltrando i gangli delle nuove istituzioni invece di sfruttare le risorse del territorio e del suo ineguagliabile porto.

Invece di sviluppare ricchezza e armonia sociale cancellò e depotenziò ogni attività produttiva puntando tutto sulla rendita fondiaria e sulla gestione clientelare della cosa pubblica, conquistando privilegi a danno degli inermi autoctoni colpiti dalla tragedia.

L’architettura Liberty durante la Belle Èpoque in riva allo Stretto trovò un muro invalicabile sul quale potette operare, tardivamente, solo qualche piccolo lezioso graffio, ma niente di più.

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