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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

“Stende alle navi il braccio, e offre il seno”, il canto per Messina di Campaiella quando c'era il waterfront

Il filosofo cartesiano immaginava un futuro radioso per la città peloritana. Ma quando la natura sconvolge i luoghi dà agli uomini due possibilità: migliorare o speculare. La prima opzione non ci è toccata

“Questo è qui di Messina il suolo ameno/ Stende alle navi il braccio, e offre il seno/Che un dì di palme, e sia d’allor fecondo/Di pregi avrà più nobili ripieno/Per spettatore il tuo teatro un mondo/teatro degno, in cui l’eterna storia/De fasti tuoi reciterà la gloria”.

Il brano è tratto dal poema: L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, canto ottavo, stanza 49, di Tommaso Campaiella (1668-1740), un filosofo minore, un relativista cartesiano, siciliano di Modica.

Messina, alla fine del XVII secolo, appariva, al filosofo modicano, come un luogo di grande bellezza naturale e di perfetta accoglienza orografia, dove il margine urbano si affacciava sul porto specchiando la sua teatrale e rara continuità architettonica nelle sue acque.

Aspetti seduttivi che inducono il filosofo cartesiano ad immaginare per la città peloritana un futuro radioso “Di pregi avrà più nobili ripieno”, i cui fasti sarebbero entrati nella grande Storia.

Sembra che immagini un luogo adatto alla realizzazione delle utopie sociali pensate agli inizi di quel secolo (1602) dal grande filosofo, suo quasi omonimo, Tommaso Campanella.

Un luogo solare dove anche l’eretico frate domenicano, in quell’istmo che fa del porto un abbraccio naturale e un riparo opportuno da ogni tempesta, avrebbe visto uno spazio consono ad accogliere genti e culture. In quella forma materna disegnata dalla natura l’utopista di Stilo avrebbe, senz’altro, immaginato di sviluppare, più che altrove, la sua idea di società egualitaria, libera e giusta.

Un luogo così bello dove sarebbe potuta sorgere una “Città del Sole”: un nuovo paradigma sociale che avrebbe cambiato il corso della storia, perchè la bellezza dei luoghi condiziona in positivo l’anima di chi li abita, facendo allignare in essi culture progredite e cordialità sociali libere da egoismi e sopraffazioni.

La città del sole e la bellezza dei luoghi che condiziona l’anima

Così non è stato!

E’ vero che la natura, per due volte nella storia recente del luogo, è stata sismicamente matrigna, ma i cataclismi per gli uomini virtuosi sono un segnale per fare meglio. Quando la natura sconvolge i luoghi dà agli uomini due possibilità: migliorare o speculare, dipende da quanto sono virtuosi e dalla loro condizione morale.

Nel caso di Messina alcuni uomini, dopo il 1908, approfittando dell’emergenza, che sempre abbassa la soglia di vigilanza, hanno sfruttato le potenzialità di una rinascita pro domo loro, trasformando un luogo ricco di potenzialità in una terra di rapina, ove operare uno dei più feroci saccheggi sociali che la storia d’Italia ricordi: una sorta di palingenesi della Shock Economy (l’economia dei disastri) che sarà paradigma gestionale in successive tragedie come quella del Belice, dell’Irpinia, dell’Aquila e del recente terremoto dei Monti Sibillini.

Sono stati gli uomini e non la natura a cancellare ogni riferimento fisico, storico e civile, obliterando quel nobile Genius loci che spinse il filosofo al lusinghiero vaticinio: ”Dei fasti tuoi la storia reciterà la Gloria”, privando la città di una vita sociale equa e giusta.

Hanno depredato oltre ciò che gli necessitava, prendendo molto di più di quanto gli serviva sottraendolo per sempre ai sinistrati, ed hanno istituito un nuovo regime invincibile fondato sul bisogno e sulla necessità eterna.

Hanno trasformato un porto prospero, ospite da sempre delle più evolute civiltà mediterranee, in un porto di nebbie dove tutto è oscuro ed indistinguibile nonostante il sole risplenda tutti i giorni dell’anno.

Hanno consegnato alla “Gloria della Storia”, non una “Città del Sole”, dove: “E’ bello a vedere che tra loro non ponno donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune; e molto guardano gli offiziali, che nullo abbia più che merita. Però quanto è bisogno tutti l’hanno”, bensì baracche e asimmetrie sociali, favori al posto dei diritti e tanta perniciosa retorica autoreferenziale.

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