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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

Caso Franchi e uomini maschilisti che giocano con i diritti delle donne

Se vogliamo fare il contropelo all’imprenditrice della moda per le sue dichiarazioni, magari facendo precipitare ingiustamente tutta la sua vita in questo episodio, nessuno ce lo vieta, ma prima dovremmo metterci un’oretta davanti allo specchio

Non conosco Elisabetta Franchi, perché non vesto alla moda e perché credo produca solo per le donne.

Leggo le sue frasi “discriminanti” sui criteri con cui sceglie le collaboratrici, sono gravi e avventate, non le fanno onore, ma almeno riaprono una questione vera o addirittura drammatica. Lo status delle donne nei luoghi di lavoro in Italia è un problema grave, un paese che più maschilista di così non potrebbe essere, qui essere madri e lavoratrici non è una vacanza, considerate la risibilità delle politiche sociali. Se in una città del Sud, come Messina, nasce un bambino, le probabilità che trovi posto in un nido sono all’incirca del cinque per cento.

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In questo paese si è dovuti ricorrere alle quote rosa per portare il femminile in Parlamento, sia perché gli uomini si fanno gli affari loro, sia perché le donne non votano le donne, rendendo difficile legiferare a tutela del mondo femminile.

Detto questo, non conviene a nessuno rendere l’imprenditrice della moda una sorta di agnello sacrificale, perché così si coprono le inadempienze di un maschile penoso e di un sistema di tutele ancora più penoso. Non parliamo poi della distribuzione del merito sull’asse donna-uomo, letteralmente primitivo.

Nelle case editrici, in trent’anni di scrittura, mi è accaduto di lavorare sempre con donne. Sono diventato uno scrittore migliore grazie ai loro consigli, con molte sono rimasto in ottimi rapporti, di amicizia e di gratitudine. Poche, tuttavia, sono valorizzate, dall’addetta stampa, capacissima, a millecento euro al mese, alla editor che ne prende appena centocinquanta in più per tenere in piedi una collana con orari e impegni proibitivi. Nei posti che contavano, quasi tutti maschi, alcuni dei quali decisamente non all’altezza.

Per tale ragione, ai maschi che viene voglia di aggredire, qualche volta con atteggiamenti scomposti o Torquemada, la Franchi, consiglierei di cucirsi la bocca. Le donne si accomodino, è un loro diritto, ma agli uomini non è consentito.

Un anno fa tenevo un seminario a distanza. Il direttore dell’azienda committente si faceva inquadrare con due segretarie sedute accanto, una alla destra, una alla sinistra del padre, mute come pesci, imbalsamate. Certo, colpa anche loro, forse, ma non puoi perdere il lavoro perché il capo è vanesio. Sono stato sopraffatto da un profondo senso di disagio, che avevo riferito a chi mi aveva reclutato.

Quell’azienda, peraltro, non è un’aziendina, ma un colosso nel suo settore.

Siamo il paese dei femminicidi, degli infanticidi per fare dispetto alla donna che ci lascia, il paese che insolentisce Liliana Segrè, chissà se perché ebrea o perché donna.

Negli alberghi non mi è mai accaduto di vedere personale di sesso maschile di servizio alle camere, ci vorrebbero le quote azzurre, in compenso incrocio moltissimi direttori di albergo, casualmente quasi tutti maschi. In effetti mi piacerebbe sapere quante direttrici ci sono in Italia, rispetto al totale.

Potrei andare avanti all’infinito, e la prima immagine che mi viene in mente è un politico, noto per la sua presunzione, che un paio di anni fa annunciò la caduta del governo, per mano del suo partito. Alla conferenza stampa si presentò come quel direttore d’azienda di prima, incorniciato tra due donne, una ancora ministra oggi, l’altra lo era del governo uscente. Anche allora, sembravano due cartonati.

Se vogliamo fare il contropelo all’imprenditrice Elisabetta Franchi, magari facendo precipitare ingiustamente tutta la sua vita in questo episodio, nessuno ce lo vieta, ma prima dovremmo metterci un’oretta davanti allo specchio, dico noi maschi, e snocciolare una lunga check list, come quella che usano i tecnici gli ingegneri quando fanno le manutenzioni degli aerei.

Un minuto dopo, se fossimo onesti, ci passerebbe la voglia di fare i gradassi.

Forse la signora non è simpatica, di certo la sua popolarità non è cresciuta, ma provate ad ascoltare Carlo Bonomi, presidente della Confindustria Italia quando parla di sindacati e di politica, difficile premiarlo per l’affabilità. Mi chiedo se fosse una donna come si regolerebbe la stampa con lui.

Pensiero finale. Quando nella vita si raggiunge qualche traguardo, si rischia di provare ebrezze e sensi di potenza fuorvianti, il successo è come la classe, bisogna saperlo portare, vi sono imprenditori ancora lontani da questo traguardo, io mi auguro, anche per la nostra economia e per i nostri lavoratori, che questo processo acceleri. Ne trarrebbero vantaggio prima di tutto gli stessi imprenditori, che diventerebbero degni del servizio che offrono al Paese, alle famiglie, alle donne.

Nessuna animosità verso la dottoressa Elisabetta Franchi, le ricordo solo che con oggi contrae un debito con le donne. Le auguro di possedere le risorse morali per onorarlo. Lo deve anche a se stessa.

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