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Domenica, 28 Aprile 2024
Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

La guerra sul terzo mandato, la politica disadattata e il sud dei sultani

Senza la scelta di mettere i comportamenti al primo posto dell’agenda politica, non ci sarà progresso e non ci sarà progressismo. Il rischio è rimanere in balia di una cultura incompatibile con un’idea di civiltà appena sufficiente

Il dibattito sul terzo mandato, ispirato dalle frustrazioni di uscenti che non vogliono uscire e dai calcoli miopi di leader in debito di intelligenza, ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che la politica è investita da un paio di tenacissimi drammi.

Il primo riguarda l’assoluta incapacità di ascolto, sostenuta da una sconfortante illusione di un’autosufficienza. Una decina di anni fa nel mio volume “Quello che non vedo di mio figlio” mi ero attardato sulla prospettiva di modificare alla radice il concetto di educazione, introducendo la necessità di farne un’azione bidirezionale. Provate a immaginare cosa significherebbe acquisire il contributo dei bambini e dei ragazzi nel processo pedagogico e decisionale degli adulti.

Si interverrebbe a ragion veduta, senza tirare a indovinare, ma soprattutto si incrementerebbe la solidarietà tra le generazioni mentre la conflittualità tra le stesse calerebbe drasticamente.

Il ragionamento si può, si deve, applicare alla politica, ma è assai più difficile perché i politici sono individui che attribuiscono il loro successo elettorale al proprio valore e, quello che è peggio, finiscono per crederci, cadendo in uno stato di superbia davvero ingiustificato, che cancella loro i cinque sensi, rendendoli impermeabili agli stimoli esterni. Se accade a un impiegato del catasto i danni solo limitati, ma l’ombrello di influenza di un politico può essere enorme.

Lasciare inutilizzato il talento di milioni di cittadini, perché preda di una deplorevole sopravvalutazione di sé non è politica, ma immaturità, se non qualcosa di peggio, con punte di patologia in alcuni fenomeni presidenti di regione.

Basterebbe questo a spiegare quanto sono pericolose le resistenze al limite dei due mandati, che invece andrebbe esteso a tutti i livelli di governo. La persistenza generazionale è stata causa di ritardi enormi rispetto al funzionamento della società. Allo stesso modo, l’inamovibilità di individui inadatti si è resa responsabile della perdita di qualità di tante vite.

Il secondo dramma, direttamente legato al primo, è ancora più grave, riguarda la qualità del personale politico. Emergere in questo contesto non richiede sempre grande intelligenza, mentre è indispensabile una bella dose di furbizia, ma se consideriamo che la furbizia sta all’intelligenza come il truciolare sta al rovere, possiamo immaginare cosa possa significare in certi casi la rinuncia al limite dei due mandati, tenuto conto che i più refrattari a lasciare la politica sono proprio coloro che fuori dal suo perimetro non avrebbero grandi possibilità di trovare un ruolo. Alla politica sono abbarbicati soprattutto i furbi e lo sdoganamento del terzo mandato premia loro affliggendo però le collettività.

Non si può ridiscutere il limite dei due mandati, perché non si tratta solo di “durata” -la politica non è materia freudiana e neppure un film con Rocco Siffredi-, ma delle stesse finalità della politica.

Si invoca il terzo mandato perché la politica è sempre più centrata su di sé, sul cucchiaio e non sulla minestra, questo significa che quando si pose quel limite non c’era una visione, si stava facendo tattica, come adesso che lo si vuole rimettere in discussione.

Infine, il progressismo rischia di decretare la sua morte perché non si rende conto che oramai la novità non passano più solo dai programmi, che le persone non conoscono nemmeno, confusi dalle parole e dai dibattiti mediatici a getto continuo, ma la rivoluzione si fa coi comportamenti. Se il Pd pensa che si possa mandare a casa la destra con ex ministri che si portano la moglie in parlamento o con presidenti di regione che fanno lo stesso coi figli, deve disilludersi. Certi comportamenti non possono essere ammissibili neppure dove comandano delle macchiette ridicole e pericolose, capaci di trasformare la propria regione e tutto il meridione in una caricatura, uno stereotipo che sigilla quei luoghi in angoli poco lusinghieri dell’immaginario collettivo. Degenerazioni pericolosamente vicine a certi modelli sudamericani, che dopo avere marchiato il sud con il loro totalitarismo paesano ma niente affatto comico, ora fanno finta di difenderlo. Il Pd si deve prendere il rischio di mettere distanza tra sé e questa inciviltà, accettando di pagare il prezzo elettorale che necessita, soprattutto per offrire ai meridionali una politica degna di un paese europeo, separando l’elettorato evoluto da quello disposto a tutte le avventure nella speranza di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola, dove si sono ingozzati figli e vicini del sultano.

Lo stesso discorso vale per chi sta a sinistra del Pd, dove un segretario e parlamentare si è fatto accompagnare dalla consorte. Forse soffriva di solitudine.

Senza la scelta, questa si epocale, di mettere i comportamenti al primo posto dell’agenda politica, non ci sarà progresso e non ci sarà progressismo, e noi saremo lasciati in balia di una cultura, quella della destra italiana, incompatibile con un’idea di civiltà appena sufficiente.   

Chi comanda nel Pd non deve temere, i voti ci sono, bisogna andarseli a prendere rovesciando il tavolo, mettendo al primo posto azioni semplici, originali, sorprendenti, ma capaci di spezzare la terribile logica della contiguità che premia i figli e gli amici dei vicini uccidendo le attese di chi fa studiare i propri a prezzo di enormi sacrifici e poi li vede passare in coda perché troppo lontani dalle stanze del potere.

Se non si inizia da subito la battaglia sui comportamenti la destra durerà quarant’anni, e se a Berlusconi ne sono bastati una ventina per distruggere il senso civico degli italiani, immaginate cosa può fare chi è cresciuto a pane, fantasy, traumi familiari, risentimento sociale e l’ossessione di farla pagare a chi si ostina a considerare il fascismo un crimine intollerabile, imperdonabile.

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