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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Orrenda insegna sul campanile del Duomo, ecco come il bello muore mortificato dall’inutile

Un aforisma di Ennio Flaiano per sintetizzare il “lamierino” pensato da qualche pubblicitario che non distingue il Colosseo da un condominio. Con questi risultati

La verità sta nei particolari. I particolari ci dicono più verità di un’ampia narrazione e riferiscono anche come siamo e cosa pensiamo.  Da un particolare possiamo benissimo risalire al gusto di una persona, ai suoi valori e alle sue categorie estetiche e di pensiero. Questo vale per i singoli individui quanto per i popoli. Leonardo Da Vinci sosteneva che: “i dettagli fanno la perfezione”, così come ci dicono anche tanto sui modi imperfetti di agire e di pensare.

Passeggiando per piazza Duomo e osservandone il complesso architettonico, salta all’occhio un elemento fortemente disturbante, anzi deturpante. All’ingresso del Campanile è stata affissa un’insegna barbaramente sovrapposta all’architrave che separa la porta sagomata da mensole laterali dalla soprastante elegante lunetta con inferriata in ferro, occupando in orizzontale tutta l’ampiezza della prima cornice ogivale.

Il Campanile del Duomo e l'inutile insegna

Un’insegna rettangolare con bordo in lamierino scuro, alta circa 40 cm., al cui interno su fondo azzurro campeggia pleonastica, a lettere cubitali, la scritta: “Campanile”, affiancata da sbiadite foto che ritraggono elementi del campanile stesso (il leone, il gallo, etc..), nel caso qualcuno non capisca di cosa si tratti. Per non correre questo rischio con i turisti stranieri immediatamente sotto una striscia poliglotta: Cloktower – Clocher - Glokenturm – Campanario, mancano solo la traduzione in cirillico, i pittogrammi cinesi e gli ideogrammi giapponesi, a voler essere totalmente planetari.

Infine in basso, un’altra striscia di parole come: Ingresso- Panorama- Bookshop- Souvenirs- svela tutta la prosaicità dello scempio.

Se c’è un linguaggio universale è quello delle forme che supera ogni convenzione semantica. Che bisogno c’era di indicare in quattro lingue una tipologia architettonica universale, come un campanile?  È come se le chiese avessero davanti un cartello con scritto “CHIESA”. E poi le foto sbiadite di elementi che non stanno in altro luogo e quindi possono incuriosire chi guarda, ma i soggetti raffigurati sono proprio lì, proprio sopra quella disgustosa insegna che si sforza, patetica di rappresentarli. Una sorta di atteggiamento autistico, ormai tipico del fruitore nato digitale che nonostante abbia sotto gli occhi la realtà da vivere e l’orinale da ammirare li guarda su internet e si informa su wikipedia.

L’ultima ricostruzione dopo il 1908

Il Campanile del Duomo è un elemento verticale che da secoli orienta i messinesi e con i suoi simboli e le sue iconografie rappresenta una sintesi essenziale della storia del popolo peloritano.  Più volte crollato, più volte risorto. L’ultima ricostruzione risale a dopo il 1908. In quest’ultima versione è stato dotato di uno dei più famosi orologi astronomici d’Europa.

In origine fu il Minareto, in lingua arabo Manara, che significa Faro. Alto edificio a pianta limitata che svettava sopra l’abitato e le campagne dalla cui sommità il Muezzin, gridava l'Adhàn (il richiamo) invitando, più volte al giorno, il popolo alla Salàt (preghiera). Mutuando dal mondo arabo, in Europa i primi Campanili nacquero durante il monachesimo. Strutture snelle, generalmente affiancate alla chiesa madre, che svettavano su tutti gli spazi del monastero e controllavano i terreni circostanti. Elementi architettonici che presto divennero il simbolo di quella grande rivoluzione spirituale che decretò la fine della civiltà romana e all’avvento del cristianesimo. il Monastero che fu il luogo di una nuova organizzazione delle attività umane concepì la Regola monastica: un complesso di norme comportamentali che organizzava i ritmi della nuova vita prevedendo nuovi sistemi di gestione del tempo civile come l’orario di lavoro, la divisione della giornata in frazioni di tempo, il calendario, ecc… (concezioni che resteranno immutate fino ai giorni nostri).

La regola del tempo

Lo strumento con il quale si applicava la Regola del tempo, fu il Campanile, prima attraverso l’uso delle campane (ed era un tempo incerto che dipendeva dai ritmi del campanaro) e poi con l’orologio meccanico, invenzione dovuta all’Arcidiacono di Verona Salomone Ireneo Pacifico (778-845), un erudito  di grande ingegno al quale si deve una delle architetture più esemplari del Romanico Italiano: la Cattedrale di San Zeno a Verona ed il suo Campanile.

I Campanili furono gli elementi funzionali alla città medievale, protetta dalle mura, per proteggere il mercato, al cui interno si situarono per primi gli edifici di rappresentanza del potere spirituale (la Chiesa e il Campanile) e del potere temporale (Il palazzo signorile e la torre civica). Entrambi i poteri scandivano il tempo rendendolo visibile con la torre civica e il campanile. Fino alla modernità furono le architetture che più di altre caratterizzarono la visione del panorama urbano. Basti pensare al Campanile di Giotto a Firenze.

Essi avevano una grande importanza sociale: richiamavano i cittadini alle adunanze pubbliche; avvertivano del verificarsi di tragedie e lutti; segnalavano i momenti lieti della comunità come feste, matrimoni o nascite; davano l’allarme con le campane a martello. Con l’orologio meccanico o con le campane dettavano i ritmi delle attività pubbliche e private. Ancora oggi il campanile di Messina con la sua cifra eclettica evoca e sintetizza questo processo storico e scandisce il tempo dei messinesi, quantomeno le pause pranzo, riecheggiando il mezzogiorno per tutte le vie della città.

Una metafora dei processi di valorizzazione di beni culturali

L’insegna ha tutta l’aria di essere stata riciclata, o di essere stata realizzata dalla sensibilità di un pubblicitario che non distingue il Colosseo da un condominio. E’ così folkloristica che sarebbe stata più opportuna accanto al pappagallo di Cristo Re.

Quell’insegna è il significante di un’idea di turismo di terza mano, da Disneyland, da: “venghino signori venghino!”.

Quel rettangolo improbabile è la lucida metafora di come si attivano in città i processi di valorizzazione dei beni culturali, di come li si promuove e di come li si fruisce. 

E’ la forma della forma mentis di chi amministra ad ogni livello. Rappresenta il perenne corto circuito tra il buon senso e opportunità politica sempre alla ricerca spasmodica del consenso che non permette di assumere veri e doverosi compiti pedagogici. Chi amministra i beni culturali, e non solo, asseconda solo il gusto acerbo della maggioranza in un quadro generale di pragmatico disimpegno estetico insensibile ad ogni crescita culturale.

Se non si educa alla bellezza, il destino è segnato

Se si continua a manipolare il gusto della maggioranza offrendogli un orizzonte estetico alla sua portata per compiacerlo, ottenendo un’utile regressione per poi facilmente  assecondarlo e compiacerlo senza educarlo alla bellezza, non se ne esce più. Con questo nodo gordiano che strozza ogni buon senso, ogni tentativo di armonia estetica, il destino è clamorosamente segnato.

Siamo sicuri che per promuovere il campanile non c’era qualche altro sistema più adeguato, elegante e tecnologicamente avanzato, invece di ricorrere a quella patetica insegna?  E’ così che si intende promuovere, fruire e tutelare i beni culturali, con il fine di generare efficienti economie e sviluppo culturale?

Alla città per diventare un attrattore turistico servirebbe una strategia di valorizzazione organica dei monumenti. Servirebbe un modo sistematico, avanzato e innovativo di governo dell’intero sistema dei beni culturali cittadini, con chiari obiettivi e con modalità efficienti. Il turismo è un numero finito, intercettarlo è difficile, solo poche realtà possono vivere di solo turismo, Roma, Firenze, Venezia, la limitrofa Taormina. Le  altre città, come Messina, che non vantano grandi attrattori culturali universali debbono ricorrere a strategie innovative, intelligenti, che creano altro valore oltre quello che già c’è. Bisogna creare valore!!  E non si crea valore aggiunto se si insultano quei pochi monumenti di pregio con sbrigativi e inqualificabili prosaicismi, come quell’insegna.

Meglio puntare sul pesce stocco

Se non si riesce ad arginare questi atteggiamenti, diffusissimi in riva allo Stretto, si eviti di puntare sul turismo e si punti tutto sul pesce stocco, sul vento da sud est e sugli anatemi, elementi di cui siamo detentori esclusivi.

Al netto di queste riflessioni ci si chiede, con disperata indignazione, che necessità c’era di segnalare l’ingresso al campanile, chi lo cercherebbe altrove? Il campanile ha un solo ingresso, con tanto di targhetta elegante, non si può sbagliare. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se un’insegna del genere fosse stata affissa sulla Torre di Pisa, sul Campanile di Giotto, sulla Ghirlandina, etc..

Eppure il campanile è stato oggetto di un recente restauro che con attenzione ha restituito una certa filologia, senza risparmiare talune scelte cromatiche che lo caratterizzeranno in futuro.

Ma l’insegna, perchè?

Insegne così se ne trovano nei bar di periferia male in arnese e al mercato delle pulci. Simili si possono ammirare al mercato di Ballarò a Palermo che riassumono i prodotti del sottostante banco del pesce.

Perché affiggere un’insegna da becero negozio di souvenir che vuole attrarre in modo eclatante il turista sprovveduto per vendergli le cartoline, le ampolle con la neve, i finti prodotti tipici? Nell’era dell’Iphone siamo rimasti ancorati all’economia turistica delle cartoline? Nell’era di internet puntiamo tutto sui del souvenir? Siamo messi bene! L’insegna è inopportuna, puerile nei contenuti pubblicitari, banale nella forma e di cattivo gusto. Un autentico insulto a quel che rappresenta il monumento sotto il profilo religioso socioculturale (è uno degli archetipi della città), architettonico ed urbanistico.

Quella insegna è uguale alle millanta deregolamentate che turbano il decoro urbano e quello del centro storico violando ogni espressività di architetture e monumenti.

E’ la lucida metafora di un atteggiamento utilitaristico che si impone su ogni senso, buon senso e buon stile, grazie alla approvazione della maggioranza incolta e insensibile e all’indifferenza di chi vanta la storia della città in modo autoreferenziale e a corrente alternata.

Con questa insegna lo scempio della babele delle insegne nel centro storico è giunto al suo tragico apice. Non osiamo immaginare cosa vedremo da qui in avanti, restando indifferenti su questo solco.

Ci tocca ancora citare Ennio Flaiano che sosteneva: “il bello muore mortificato dall’utile”.

Ma qui l’utile dov’è? Resta solo l’inutile sfregio a un monumento. Una ferita deturpante sul bel volto di una nostra ava che andrebbe al più presto sanata.

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