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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

Università, lo scandalo rimborsi e le dimissioni del rettore in una città senza memoria

Non credo di volere entrare nel merito delle vicende che portano alle dimissioni del Rettore dell’Università di Messina, non per rispetto nei confronti del dimissionario, semplicemente perché non credo di averne voglia. Sarebbe carino farsi notare per altre cose, virtuose, ma non possiamo chiedere tanto.

“Madamina, il catalogo è questo”, diceva Leporello, sempre lo stesso, aggiungiamo noi.

Mi fermo alle cifre di cui si parla, ingenti, e aspetto che sia chi sta indagando a fare luce, dico solo che forse non mi sarei dimesso se avessi avuto la certezza di essere nel giusto, se non avessi avuto “nulla da nascondere”, perché il tempo avrebbe messo le cose a posto e la figuraccia l’avrebbero fatta coloro che mi avevano attaccato. Ma non mi sarei dimesso, se fossi stato sicuro degli affari miei, anche per non dare soddisfazione a chi avrebbe usato, essendo io intonso, metodi canaglia.

Allo stesso modo non mi sarei messo sulle piste di mio padre, che pure un pochino ingombrante era stato. Ma io sono fatto così, mica siamo tutti uguali, qui ognuno è libero di fare come crede. Certo, sarebbe ancora più libero di fare ciò che crede se non si occupasse di faccende che riguardano l’intera comunità.

Il senso dell’opportunità è merce rara, soprattutto se le persone intorno godono di una memoria la cui gittata è quella di uno sputo, del resto oramai siamo alle soglie del non-luogo, ancora un piccolo sforzo e ci siamo.

Gli ultimi rettorati non sono stati memorabili, diciamocelo, ci sono dei figli docenti che succedono a padri docenti, significa che alla famiglia ci teniamo, di sicuro alla nostra.

Qualcuno dice che a Messina comandano un pugno di famiglie, non saprei, grazie a Dio la cosa mi riguarda solo marginalmente, ma se davvero fosse così, il resto, quelli che sono fuori dal pugno, dovrebbero mettere barricate che, invece, nessuno si sogna di alzare. “Tantu su tutti i stissi”.

Lo dicono coloro che se fossero al potere si comporterebbero alla stessa maniera di chi lo occupa, così la sera si va a dormire belli tranquilli ripetendo a se stessi che il problema da queste parti non è cacciare i padroni dal paradiso terrestre, semmai tentare di toccare il lembo della loro veste, nella speranza che ce ne rimanga attaccato un frammento sulla mano protesa, così avremmo diritto a un elemosina, per noi personalmente, per i figli oppure per i nipoti, che poi replicheranno il copione come una compagnia stabile. Stabilissima.

Se poi qualcuno ruba, chissà quante volte è accaduto nella politica, beneficia della saggezza popolare, sempre disposta a versare miele sulle ferite. “Cu po e non fa mori cunnuto”. Dunque, se ricopri un posto di potere e non approfitti, sei un fesso.

Niente rivoluzioni, per carità, potremmo svegliare i cani che dormono o, peggio, potremmo essere assaliti dallo scomodo sospetto che impegnandoci tutti insieme sistematicamente potremmo cambiare le cose. Non scherziamo, già paghiamo i politici (e i rettori) per questo.

Il coma, in fondo, non è poi così svantaggioso.

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