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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Addio maestro Felice Pagano, ultimo dei novenatori e "monumento" dell'arte musicale popolare

E' morto stamani il violinista messinese custode della grande tradizione musicale natalizia. Ha imparato dal padre a soli sette anni. Una passione da bimbo prodigio coltivata come autodidatta che ha attraversato due guerre

E’ morto a 96 anni il violinista Felice Pagano, ultimo erede di una grande tradizione musicale, quella dei “cuntasanti”, ovvero i “nuviniddari”. La sua è stata una testimonianza di vita musicale di tradizione che non ha mai rinnegato le sue origini, e il filiale legame con il padre, Vito Pagano, ultimo dei grandi novenatori messinesi.

“Già a nove anni ha già imparato a padroneggiare lo strumento, mostrando peraltro qualità musicali non comuni”, scrive di lui l'antropologo Mario Sarica in un saggio. “Felice riannoda, con la sua voce e il suo violino, impastati di passione e sentimenti di vita autentici, i fili, mai recisi, della sua storia familiare, perfettamente coincidente con la cultura musicale di tradizione orale urbana, ormai estranea e lontana dal nostro presente, ma densa di memoria e di verità”. 

Una memoria che questa notte si è spenta. Domani i funerali alle 10.30 nella chiesa San Salvatore di Villaggio Aldisio. Noi lo ricordiamo con una delle ultime interviste rilasciate al settimanale Centonove grazie alla gentile concessione dell’autore, Alessio Caspanello.

Felice Pagano e la tradizione dei cantastorie

Le dita che scorrono inaspettatamente veloci sulla sottile tastiera d'ebano del violino, un trillo, poi un vibrato, poi un altro, poi una svisata. La testa ancora appoggiata sulla mentoniera. “Questa si chiama El Bimbo. Non la conoscevi, vero?”. Felice Pagano ha ottantaquattro anni, non vede bene e ci sente peggio. Gli acciacchi dell'età li porta con dignità e sofferenza. Ma quando suona il violino, torna il bambino di otto anni che per la prima volta, per caso, si esibisce ad un matrimonio. Le dita che ti aspetteresti irrigidite dallʼartrite non smettono di accarezzare il violino, nemmeno quando Felice, il maestro Felice parla. E' l'ultimo dei "novenatori", quella stirpe di musicisti autodidatti che recitano le storie popolari natalizie e le mettono in musica. Una passione nata per caso. E che "passione" non è. 

GALEOTTO QUEL VIOLINO. Felice Pagano nasce nel 1927 in una casa in cui la musica la respiravano anche i muri. Il padre, Vito, è primo chitarrista al Mastroieni, teatro che prese il posto del Vittorio Emanuele distrutto dal terremoto, celebre cantore e musicista popolare da parecchi storici delle tradizioni locale considerato come l'ultimo nuviniddaro. Il fratello, Francesco, suona invece il violino. E ne è gelosissimo. Da lì nasce la passione di Felice. “Lo prendevo solo quando mio fratello era in giro con mio padre. E quando tornava e me lo vedeva tra le mani erano bastonate”, ricorda ridendo. Per evitare faide familiari, il piccolo Felice inizia a prendere lezioni da uno zio, Giuseppe, anch'egli violinista. “Ma solo per quindici giorni”, puntualizza con orgoglio. Perchè? "Perchè un giorno, dato che non riuscivo a fare un trillo, lo zio mi prese il dito e me lo morse”. Fine delle lezioni, inizio dell'apprendistato in solitario. E visto che la genetica è una scienza esatta, dalla cameretta al primo “palcoscenico”, il passo è brevissimo. “Otto anni, un matrimonio di un parente”, ricorda Felice. “Ho suonato un tango. E da qual momento, per tutti sono diventato 'u picciriddu”. Uno status che, il piccolo Felice, conserverà per poco. Perchè a quattordici anni, diventa capofamiglia.

GRAZIE AGLI INGLESI. Mio padre ebbe un incidente che a ventisette anni lo rese cieco. Mio fratello partì militare nel 1940. E siccome io ero il più grande dopo lui, toccò a me sostentare la famiglia”, spiega Felice. Come? Col violino. “Accompagnavo mio padre a suonare, ma piano piano ho iniziato a guadagnare qualcosa anche io. Suonavo per il comando inglese e, nelle sere in cui non mi chiamavano, mi esibivo nei bar”. Da lì, il suo repertorio cambia drasticamente: la guerra è terminata, gli inglesi vogliono divertirsi, via le canzoni popolari siciliane, arrivano i “ballabili”. Felice, poco più che adolescente, si fa un nome. Talmente tanto che un colonnello del comando inglese lo invita in madrepatria. Suscitando le ire della madre. “Venne fino a casa mia per prendermi, ma non mi trovò. Perchè mia madre mi aveva fatto nascondere sotto il letto, minacciandomi...”, ricorda divertito. Anche perchè la famiglia è numerosissima, e quattordici bocche da sfamare impongono scelte. La più dolorosa delle quali è quella di abbandonare il violino.

L'ARCHETTO AL CHIODO. “Guarda, guarda cosa c'è scritto qui dentro”. Felice Pagano indica il violino, il suo preferito. Dentro la buca a forma di “f” c'è un'etichetta: Monzino. Un nome leggendario, per chi si intende di violini.

“E' vecchio di oltre centocinquant'anni, questo strumento”, sostiene Felice, che di violini ne ha quattro. Dentro le custodie, una serie di appunti, scalette, e fogli con quattro righe e numeri sopra.

Questo è il modo che hanno gli ignoranti di leggere la musica”, spiega, e ride. Perchè, autodidatta fino in fondo, Felice Pagano la sua musica la scrive annotando sulle corde il numero del tasto corrispondente sulla tastiera di suoi violini. Che, per anni, hanno preso polvere in un angolo della casa. “Suonando non guadagnavo poi così tanto, quindi mi è toccato rimboccarmi le maniche e trovare un altro lavoro”.

Arriva un impiego al Comune di Messina, settore tecnico, reparto manutenzioni. “E il violino solo di sera, sporadicamente. Ma da solo, senza serate, senza esibirmi”, ricorda con parecchio rammarico. Poi accade. Una “sliding doors” di quelle che il destino ti mette sulla strada senza che tu te ne accorga. “Ci arriva una chiamata - racconta tutto d'un fiato - e mentre lavoravamo in casa di un tizio, questo si mette a suonare la chitarra. Parliamo, spiego che suono il violino. E mi scatta di nuovo la voglia”. Anche perchè, il tizio in casa del quale Felice va a lavorare per conto del Comune, è un operatore della Rtp, la televisione locale. “Che mi dice di un concorso per cantanti, poeti, musicisti. Io non ci pensavo nemmeno per sogno, a partecipare, ma lui mi iscrive. E così ricomincio a suonare. Col risultato che al programma “Avanti chi canta” suono un valzer di Strauss. E vinco. Poi ne faccio un altro. E vinco un televisore Nordmende”. E la passione, mai sopita, torna a galla. Più forte di prima. E si incrocia con sei colleghi.

I MAGNIFICI SETTE. Sono in sette, diventano un'orchestra di strumenti a corda. Chitarre, mandolini, banjo, mandole. E un violino. Il suo. “Ci chiamavamo “I magnifici sette”. E' stato il mio gruppo per anni - ricorda sorridendo - tutti colleghi della stessa etaà. Ecco, questo sono io, quello col violino”, indica in una foto coi colorisbiaditi dal tempo. E poi aggiunge, con una punta di tristezza, “Sono tutti morti”. Nel frattempo, una tesi di laurea del 2003 scava nel passato dei musicisti popolari messinesi, e scopre che Felice Pagano, sia per discendenza che per meriti propri, è rimasto l'ultimo dei novenatori. La sua arte finisce su cd, l'ultimo dei quali registrato giusto qualche mese fa, in cui il violino e la voce di Felice Pagano si accompagnano alla chitarra di Marcello Cacciola in ventitrè canti popolari. “Ma io preferisco altri generi”, puntualizza. E riparte a suonare. Con l'entusiasmo del ragazzino. Di ottantaquattro anni. “Ancora non compiuti”, sottolinea. E ride, prima di riprendere a suonare”.

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