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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Violentata e separata dal suo bimbo, Boldrini a Barcellona Pozzo di Gotto per Marjan Jamali

La presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel Mondo incontrerà la giovane donna iraniana che sognava di vivere da donna libera, sbarcata sulle coste reggine, e poi rinchiusa al carcere Madia

Rinchiusa all’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto dopo che è stata rifiutato la richiesta della difesa di una perizia psichiatrica alla presenza di un consulente di parte. Marjan Jamali, la ragazza di Teheran di 29 anni in attesa di giudizio perché accusata da tre uomini che avrebbero tentato di stuprarla di essere parte dell’equipaggio di scafisti della barca a vela con cui nell’ottobre scorso è arrivata con il figlio di 8 anni a Roccella Jonica è ancora in carcere nel messinese.

Ed è qui che lunedì 11 marzo 2024 incontrerà la presidente Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel Mondo, che si recherà presso la Casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto per incontrarla, dare la propria solidarietà e stabilire quali posso essere i prossimi passi per strappare dal carcere la donna iraniana accusata di essere una scafista da tre uomini che avrebbero tentato di stuprarla.

Jamali è stata allontanata dal figlio di 8 anni, detenuta presso il carcere di Reggio Calabria e da qualche settimana è stata trasferita a Barcellona Pozzo di Gotto.

Alla fine dell'incontro, alle 17, è previsto un punto stampa davanti al carcere in via A. Madia 31.

Nei giorni scorsi per Marjan Jamali, detenuta in un primo momento al carcere di Reggio Calabria, era sceso in campo il circolo Reggio Sud in vista della ricorrenza dell’8 marzo per chiedere giustizia.

“Una storia che non tutti conoscono, noi la vogliamo raccontare, con l'auspicio che si faccia luce al più presto su questa triste vicenda”.

“La speranza di una vita diversa – racconta la nota del Circolo - una vita “più umana”, è quello che deve aver pensato, guardandola, il padre di Marjan, giovane donna di Teheran, poco incline a seguire il modello (ufficiale) di femmina secondo il regime degli ayatollah di Teheran e mamma di un bellissimo bambino di 8 anni, Faraz Nemati”.

“Fa di tutto, il papà di Marjan per mettere insieme i 14 mila dollari necessari a farla scappare dall’Iran insieme a suo figlio. Allora ci si prepara ad affrontare quel terribile dramma che è il viaggio. Il viaggio verso la speranza di una vita migliore. Il viaggio… quello che si fatica sempre a raccontare una volta sbarcati in un porto sicuro, quello che si vuole rimuovere, dimenticare il prima possibile per far posto a una vita nuova”.

“Ma per Marjan quel viaggio si trasforma in un incubo ancora peggiore, la giovane mamma subisce una duplice violenza, la prima sul quel barcone, la seconda, più terribile perché inaspettata, in quel mondo occidentale, che lei vedeva come miraggio di sicurezza e libertà”.

“Marjan e Faraz arrivano in Turchia, vanno fino alla costa. Nella notte tra il 22 e il 23 di ottobre dello scorso anno, salgono a bordo di una barca a vela. Destinazione Europa. Sulla barca ci sono un centinaio di persone, alcune sono iraniane. Un giorno, durante la traversata, mentre lei è stesa, assopita con il suo bambino accanto, subisce un’aggressione sessuale, la toccano, provano a spogliarla. Lei urla, chiede aiuto, solo un ragazzo la difende. Iraniano, come lei, si chiama Amir Babai. I quattro aggressori sono tutti iracheni, uno di essi è il capitano della barca e sono furiosi, minacciano Marjan e Amir”.

“La barca viene intercettata e fatta sbarcare nel porto di Roccella Jonica, dove i migranti verranno identificati e interrogati. Alla solita domanda che gli agenti di polizia fanno agli sbarcati “chi sono gli scafisti?” Risponderanno proprio i quattro aggressori di Marjan e indicheranno lei e Amir Babai, l’iraniano che l’aveva difesa”.

“I due –prosegue la nota -  verranno prontamente sbattuti in galera, gli accusatori, invece si daranno immediatamente alla macchia”.

“Ricapitolando: una ragazza di 29 anni e il suo amico, entrambi iraniani sciiti, comandano una barca di oltre 100 migranti, portandosi dietro un bambino di otto anni, ma vengono smascherati da quattro uomini iracheni sunniti, che giorni prima si erano resi protagonisti di un mirabile episodio di tentata violenza sessuale, ma questa è un’altra storia. Lei viene identificata. Nel verbale c’è scritto che parla e capisce l’arabo, peccato che non è affatto vero! L’interprete è un iracheno, maschio, sunnita che non capisce il persiano che lei parla (sbaglia persino a scrivere i nomi della ragazza e di suo figlio) ma nel verbale non risulta nulla di tutto ciò!”.

“Sarebbe bastato guardare l’Iphone che la ragazza aveva con sé per trovare le foto dei passaporti con i nomi corretti e le date di nascita e, con ogni probabilità anche una qualche ricevuta che attestasse l’avvenuto pagamento del viaggio dalla Turchia all’Italia. Sarebbero bastate due semplici telefonate: una al padre della ragazza e una all’agenzia dove sono stati pagati i soldi per il viaggio il cui nome è scritto bello grosso sulla ricevuta di pagamento, per verificare che qualcuno ha pagato 14mila dollari il viaggio di Marjan e di suo figlio: 9 mila per lei e 5 mila per il bambino. Sarebbe bastato verificare la testimonianza di un ragazzo egiziano che dichiarò di essere uno scafista e che quei due iraniani, la ragazza e il ragazzo che l’ha difesa, erano solo dei passeggeri. Ma niente di tutto ciò è stato fatto dagli inquirenti”.

“Il bambino è stato affidato dal tribunale dei minori a una famiglia afghana in una comunità in Calabria. La madre portata a Reggio, in carcere, dove non è mai stato portato suo figlio fino a pochi giorni fa. Un bambino di otto anni, strappato dalla madre dopo un’odissea dall’Iran al porto di Roccella, non ha visto sua madre da ottobre fino a febbraio. A lei sono stati notificati tutti i documenti in arabo, nonostante Teheran sta in Iran e in Iran si parla iraniano, nonostante lei non parli arabo”.

“È stata altresì respinta dal Gip di Locri la richiesta dei domiciliari. Mai sentita, da ottobre a oggi la testimonianza di Marjan, che saprebbe con certezza indicare i capitani di quel tragico viaggio”.

“L’udienza del processo è fissata per l’11 marzo nella Procura di Locri, ma l’accusata in carcere ha già due volte tentato il suicidio ingurgitando psicofarmaci. È una mamma disperata che vuole riavere suo figlio, chiede di vederlo e gli viene concesso solo una volta. Il bambino, che si trova a circa due ore da Reggio Calabria, viene portato in carcere per vedere la sua mamma”.

“Marjan, nel frattempo denuncia alla Procura di Reggio i suoi violentatori e due giorni dopo viene improvvisamente trasferita dal carcere di Reggio Calabria all’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto”.

“È stata trasferita lì per il suo bene…sarà sottoposta a cure psichiatriche specialistiche, indispensabili dopo il tentato suicidio...”. Così risponde il Dipartimento amministrazione penitenziaria – informa la nota - poco importa se del trasferimento non è stato avvisato il difensore della donna o se suo figlio, dato in affidamento a una famiglia afghana in Calabria, non potrà andare a trovarla”.

Lo scorso primo marzo, il deputato Marco Grimaldi, di Sinistra italiana ha presentato, sulla vicenda, un’interrogazione parlamentare al ministro della giustizia Carlo Nordio chiedendo “quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere, anche di carattere ispettivo, in relazione all'operato della procura di Locri nel caso in questione e se, con riguardo al luogo e alle condizioni di detenzione, non si intendano favorire, per quanto di competenza, soluzioni che salvaguardino il mantenimento del rapporto di Marjan Jamali con il figlio minore”.

Noi compagne e compagni del Circolo ReggioSud ci uniamo a questo appello chiedendo giustizia per Marjan e per suo figlio, affinché la “caccia agli scafisti” tanto amata dal Governo Meloni non debba tramutarsi in una “novella caccia alle streghe”.

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