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Sabato, 27 Aprile 2024
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La guerra aperta tra magistratura e sanità, Celi: “Troppe querele, occorre mettere fine alla barbarie”

Il chirurgo-scrittore, che è stato nel tempo anche imputato nonchè consulente tecnico d’ufficio e perito di parte per le procure, punta il dito contro l'escalation di denunce da parte di pazienti e familiari. Un contenzioso di 35 mila cause l'anno dove la discrezionalità sull'esito la fa da padrone. Gli esempi nel saggio “Giustizia e Sanità”

Non saranno mai esposti come i giornalisti, sempre più “precari” e massacrati da querele temerarie che mettono in discussione i principi cardine della democrazia stessa, ma si avvicinano pericolosamente.

Sono le migliaia di medici e professionisti sanitari bersagliati dalle ondate di denunce da parte di pazienti e familiari. Un fenomeno che registra un boom legato anche all’emergenza pandemica. Le cause di contenzioso medico-legale sono circa 35.000 ogni anno, mentre 300.000 sono quelle giacenti nei tribunali contro i medici e le strutture sanitarie private e pubbliche.

Il danno e la beffa. Di fronte all’ incremento esponenziale di querele, non consola nemmeno che il 95 per cento delle cause intentate non riconosca poi una colpa medica.

Lo spiega bene nel suo nuovo libro il chirurgo-scrittore Diego Celi (nella foto). “Giustizia e Sanità” il titolo del saggio che in 128 pagine (Lithos edizioni) - con prefazione di Ermanno Ancona, professore Emerito di Chirurgia Generale dell’Università di Padova -  racconta l’evoluzione di un fenomeno con i suoi disagi e conflitti difficile da governare.

Un punto di vista qualificato sulla responsabilità medica perchè arriva da un chirurgo che è stato nel tempo anche imputato nonchè consulente tecnico d’ufficio e perito di parte per le procure.

Diego Celi2-3-3Tra storia, filosofia ed esempi pratici, Celi mette in evidenza come da Mani pulite in poi l’invasione della magistratura nella vita sociale e politica è divenuta sempre più opprimente.

“L’espansione del potere giudiziario ha cause precise – scrive Celi -  la predominanza assoluta del Pubblico ministero, senza che a questo potere corrisponda una qualche responsabilità, la fusione fra giustizialismo e populismo, per cui l’unica élite tollerata dalla pubblica opinione è quella dei magistrati”.

Una tendenza che diventa esplosiva per “la mancata accettazione che l’arte medica è empirica, cioè esposta ad errori” mentre la “giustizia” spesso sconfina in situazioni che non configurano violazioni della legge o del codice deontologico.

Sotto lo scudo dell’obbligatorietà dell’azione penale – secondo Celi – e al mantra della “malasanità”, si è permesso a tanti (giornalisti, conduttori televisivi, magistrati, avvocati, periti, pazienti e familiari) di lucrare in maniera indegna istituendo perfino, mentre il vento impetuoso della pandemia ancora soffia, class-action per censurare l’operato dei medici.

L’appello, tra le righe, è a parlamento, governo e magistratura: hanno il dovere morale e civile di arrestare “la barbarie”.

Significativo il caso proposto di un medico finito sotto accusa per la morte di una sventurata paziente che soffriva di aneurisma endocranico. La sentenza di condanna motiva che se il medico avesse sottoposto la paziente a una serie di esami (EEG, Tac cranica, angioRmn, angiografia cerebrale) la patologia sarebbe stata rilevata.

Indicazioni offerte da un perito – spiega Celi –  che se avesse avuto in carico la paziente sicuramente non le avrebbe effettuate. “Di fronte ad una cefalea saltuaria, a una obiettività neurologica negativa, avrebbe richiesto una Angiotac cerebrale? La risposta è No!”.

Una storia-simbolo, secondo Celi, che mostra la manipolazione dell’analisi e della gestione del rischio clinico ma anche l’incompetenza dottrinaria di chi ha giudicato fino a spingere l’autore a sentenziare che “la legge si interpreta per gli amici e si applica per i nemici”.

Ma stando così le cose, si può parlare di “diritto alla salute”? Possono, cioè, le attuali conoscenze scientifiche e tecnologiche legittimare un così corposo contenzioso giudiziario in tema di responsabilità professionale medica?

“Sarebbe doveroso da parte del Ministero della Salute, promuovere una campagna di sensibilizzazione che spieghi ai pazienti che “si può guarire, si può star meglio, ma si può anche morire”. Il cittadino non ha diritto alla salute, ha diritto alla cura, la cura migliore possibile. Spiegare questo concetto potrebbe servire a scoraggiare il ricorso automatico all’autorità giudiziaria, da parte di chi supportato da rampanti avvocati e da sedicenti esperti, intende confondere il giusto e legittimo diritto di risarcimento con la più cinica delle speculazioni. Tutto questo non basta, qualora la giustizia continuerà a considerarsi come dogma. È necessario ricostruire un rapporto fiduciario che chiami in causa l’ethos di un popolo, fondato su un discorso di verità.

Linee guida e protocolli terapeutici: la professione medico-chirurgica è, per sua tradizione, arte liberale e pertanto rimessa, in ultima analisi, al giudizio discrezionale del medico. Come conciliare queste due opposte condizioni?

“Linee guida e protocolli terapeutici sono argomenti di valutazione importanti per definire le “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonchè in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Non possono rappresentare, però, la “verità rivelata”. Nell’arte medica (chirurgica in particolare), ciò che è prevedibile non è prevenibile. Giudicare l’operato di un sanitario senza tenere conto delle peculiarità che ciascuna patologia può presentare è un errore madornale, un pregiudizio responsabile della medicina difensiva. La diffidenza pregiudiziale e il timore di avere a che fare con un professionista non all’altezza del compito è il segno di una relazione distorta in cui entrambi gli attori (paziente e medico) sono prigionieri”.

“Malpractice e medicina difensiva” o, in altri termini, gli estremi che si toccano: cos’è meglio per un medico (anche se il meglio, come vuole Voltaire, non è mai il bene) rischiare o trincerarsi dietro protocolli e linee guida che in coscienza non approva?

“Ho visto l’evoluzione della medicina e ho vissuto conquiste scientifiche impensabili; purtroppo ho anche assistito, prima attonito poi consapevole e indignato, alla manipolazione del dolore, della morte e alla messa alla gogna dei medici. L’aforisma di Voltaire “Il bene è nemico del meglio”, pietra angolare della Scuola patavina che mi ha formato, oggi non è più accettato. Il legislatore dovrebbe comprendere che l’arte medica non può intendersi come un catalogo di norme. Nel momento in cui il medico, nell’esercizio della sua professione è impaurito dalle conseguenze, arreca un danno al paziente. La cosiddetta medicina difensiva non arreca benefici nè al malato nè al sanitario. Il medico si sta riducendo a fare le cose per ridurre il rischio, ignorando il rischio delle cose che fa”.

In che misura e con quali risultati l’attuale pandemia ha modificato il rapporto medico-paziente in termini di cura e prevenzione non solo dell’infezione da SARS-COV2 ma anche di altre patologie?

“Non so rispondere a questa domanda. Penso che ci voglia del tempo per capire se sia nato un diverso rapporto medico-paziente. Basterebbe non considerare più la sanità puro marketing o peggio una sharia laica dove non si persegue più un illecito specifico, ma un probabile errore. Negligenza, imperizia ed imprudenza non possono essere utilizzate per sostenere il racconto di una azione professionale rovesciata nel sospetto. Altrimenti lo Stato di diritto somiglierà ad una stanza dell’orrore, nella quale chi entra può cadere nell’inganno di pensare di essere stato inguaiato dal proprio lavoro divenuto incubo”.

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